La produttività lavorativa permette di “classificare” un Paese in base all’efficienza con cui si sviluppa e cresce il suo mercato del lavoro. Qual è la situazione dell’Italia?
Il mondo dell’economia è ricco di indicatori e statistiche in grado di analizzare in profondità l’andamento di un Paese: dal “celebre” rapporto tra il debito pubblico e il PIL, allo spread, al deficit o all’andamento dell’indice di Borsa di riferimento. Ognuno di essi è in grado di descrivere le varie “sfaccettature” in cui si dirama l’economia di uno Stato. Ma se volessimo avere un’indicazione riguardante l’efficienza lavorativa di un Paese, quale indicatore dovremmo utilizzare?
Parlare di efficienza significa parlare di produttività. Per produttività s’intende investigare la capacità del Paese in esame di crescere e generare occupazione nel modo più efficiente possibile, ossia con il minor spreco di risorse. Una diretta conseguenza di una migliore produttività si traduce in una migliore competitività del sistema economico, aspetto di primaria importanza per rendere la crescita di un Paese costante e sostenibile nel tempo. Ovviamente possiamo calcolare la produttività di diversi soggetti operanti in un’economia: dai cittadini, alle imprese, allo stesso Stato. Secondo una ricerca di Expert Market la produttività della forza lavoro si calcola dividendo il PIL pro capite di un Paese rispetto al numero di ore lavorate in un determinato periodo di tempo. Così facendo si riesce ad individuare il reddito generato per ogni singola ora di lavoro svolta. La ricerca ha cercato quindi di misurare “l’efficienza lavorativa” di un Paese. I risultati, però, non sembrano incoraggianti per il nostro Paese.
Lussemburgo, Norvegia e Svizzera sul podio. Il primo posto in questa particolare classifica lo conquista il Granducato di Lussemburgo, che si dimostra il Paese lavorativamente più efficiente con 51,8 sterline generate per ogni ora di lavoro, in crescita del 4% rispetto alla classifica dello scorso anno. Un risultato di assoluta rilevanza per un paese geograficamente piccolo, ma in grado di attrarre capitali da tutto il mondo.
Alle spalle del Lussemburgo troviamo prevalentemente i principali paesi del nord Europa. Quest’ultimi infatti risaltano per la loro produttività, dove segnaliamo si applica una politica orario di lavoro in grado di garantire un equo bilanciamento tra la vita personale e quella lavorativa del dipendente. Norvegia, Svizzera, Danimarca e Islanda sono quindi “isole felici” (almeno lavorativamente parlando), nonostante il clima per lo più rigido. Questo risultato merita di essere letto insieme ad un’altra classica, che possiamo considerare collegata a quest’ultima: se cerchiamo la classifica dei paesi più felici del mondo del 2017, le prime tre posizioni sono proprio occupate da Norvegia, Danimarca e Islanda.
Italia e Regno Unito fanalino di coda. Tra tutti spicca il posizionamento della Gran Bretagna, che rispetto allo scorso anno ha perso una posizione, registrando un calo del 7%. Uno dei fattori che maggiormente ha contribuito a questa caduta è da attribuire all’esito del referendum dello scorso anno, quando il popolo britannico scelse la Brexit: l’incertezza politica che ne è scaturita ha indebolito il delicato sistema del lavoro britannico, e con i negoziati alle prime battute, è ancora presto per capire effettivamente le conseguenze (economiche) di questa scelta.
L’ultimo posto in classifica spetta (purtroppo) al nostro Paese. In Italia, secondo i dati raccolti, in media ogni ora di lavoro genera 13,34 sterline, il risultato più basso tra i Paesi Sviluppati, e sinonimo di un’economia tutt’altro che efficiente. Un’ulteriore “dimostrazione” di quello che ha già riportato il Fondo Monetario Internazionale qualche settimana fa nel consueto “Rapporto sull’Italia”: se da un lato ha confermato il proseguo della crescita al ritmo dell’1% annuo fino al 2020, dall’altro ha evidenziato le criticità di un sistema pubblico inefficiente e un mercato del lavoro ancora fragile.
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