Biologico o biodinamico… naturalmente vino!

Coltivare l'uva senza sostanze chimiche per conservarne i profumi, rispettare il territorio e farci tornare alla «verità del gusto»...

L’identità del vino. «Ogni vino è la sua terra, la sua storia, il suo clima ma anche gli abitanti della campagna, i prodotti che gli crescono attorno. Il vino è segno di un’identità che viene dal rispetto delle varietà, è linguaggio, è cerimonia: il suo miracolo sta proprio nell’atto di ricordare, di legarsi a una radice» (Aldo Grasso).

Cos’è il vino biologico? Vino prodotto da uve coltivate senza l’aiuto di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere) e senza l’impiego di organismi geneticamente modificati.

Da Vittoria a New York. Arianna Occhipinti, 29 anni, siciliana di Vittoria, laureata in Enologia a Milano, «ma non trovavo più stimoli durante gli studi, poi ho incontrato vignaioli che parlavano di produzione sostenibile. Ed è cambiato tutto». Così, quando «avevo 22 anni, ho iniziato a produrre il Frappato, è piaciuto e ho cominciato a fare sul serio. Studiando la viticoltura classica ho capito quello che non dovevo fare, usare la chimica. Volevo conservare i profumi dell’uva. Gli additivi invece coprono i sapori». Oggi esporta il 70 per cento del vino che produce in modo biologico, destinazione principale Stati Uniti (anche grazie alle ottime recensioni del New York Times Magazine che le ha dedicato persino una doppia pagina). L’azienda che porta il suo nome è piccolissima: «Siamo in cinque: tre in campagna, una in ufficio e io che mi occupo di tutto». Nella sua piccola cantina produce Frappato («aspro e sanguigno, la sintesi della mia Sicilia») e Nero d’Avola Siccagno («profumo che sa di vino in tutti i sensi»). Quindicimila bottiglie all’anno dai 18 ai 20 euro l’una. [Style]

Le esigenze del territorio. «La scommessa più grande è quella di comprendere le esigenze della terra, povera e siccitosa, senza turbarla nel suo divenire o modificarla nel suo aspetto, cercando di raccogliere ciò che può offrire e che crediamo sia in realtà un equilibrio unico che comunica rigore e armonia al Nero d’Avola e freschezza ed eleganza al Frappato» (Arianna Occhipinti).

La strada del vino. Per fare il suo vino, che si chiama SP68, «come la nostra Provinciale, antica strada del vino», Arianna Occhipinti si sveglia tutte le mattine alle 6.30: «Adoro stare in vigna, mi fa sentire libera».

Cos’è il vino biodinamico? Produrre con metodo biodinamico significa lasciare al terreno la capacità di nutrire le piante senza alcun aiuto esterno. Ovvero un’agricoltura che si basa sull’idea della natura in equilibrio per ottenere, da viti sane, dell’uva di alta qualità. Anche qui non vengono utilizzati prodotti di sintesi chimica ma dei preparati naturali ottenuti da processi fermentativi, decotti e minerali, come polvere di quarzo, sempre tenendo conto delle fasi della luna e del sole; il terreno viene lavorato secondo metodi tradizionali (aratura a cavallo, concimazione a letame, ecc.) e come trattamento profilattico si spruzzano le piante con infusi di ortica, camomilla, finocchio, dente di leone, valeriana e corteccia.

È la luna che decide. Nell’agricoltura biodinamica il calendario lunare viene seguito, non solo nei campi, ma anche in cantina per i travasi e l’imbottigliamento. Il mosto fermenta sui propri lieviti autoctoni.

L’impegno biodinamico. Gérard Gauby, vigneron francese che coltiva i suoi terreni biologicamente dal 1996 e con il metodo biodinamico dal 2001, solito piantare delle querce tra i filari: «Nelle querce vi vivono più di 500 insetti che aiutano a tener lontani i parassiti». In cantina, ha rinunciato alla diraspatura e affina i suoi vini in vasche cemento o in foudres (botti grandi) di origine austriaca che restituiscono la purezza del frutto: «Un’agricoltura biodinamica si traduce in un impegno di lavoro otto volte superiore rispetto ai metodi convenzionali». Il figlio Linoel, 26 anni, «la diversità della cultura ha ricreato una complessità biologica. Qui la vita torna. Tornano i rapaci come i gufi Gran Duca e si vedono di nuovo volare le cince». All’inizio gli acri erano 10 (un’eredità del nonno) ma grazie al successo dei suoi vini (i Cotes du Roussillons) oggi il Domaine Gauby ne conta 45 coltivati a viti e altri 40 lasciati alla natura.

Il padrino. Francis Ford Coppola, che ha aperto la sua tenuta di vino con i soldi incassati con Il padrino.

La verità del gusto. La viticoltura biodinamica «non è, di per sé, una garanzia assoluta di qualità. Il risultato dipende dal luogo dove si coltiva, dal vitigno scelto, però quando si assaggia uno di questi vini si capisce la differenza perché si torna alla verità del gusto» dice il pioniere dell’agricoltura biodinamica Nicolas Joly, che coltiva così i suoi terreni dagli anni Ottanta, ottenendo uno dei vini più pregiati di Francia, il Clos de la Coulée de Serrant (Joly è inoltre il fondatore di La Renaissance des Appellations, associazione di vignaioli creata nel 2001 che conta circa 200 produttori di 14 Paesi, dei quali 34 in Italia). [Corriere.it]

La diversità dei vini. I vini ottenuti da uve di agricoltura biodinamica sono caratterizzati da una grande vivacità e da un colore intenso; ogni annata è diversa in quanto forte espressione dell’ambiente in cui è nata, un vino che esprime veramente il terroir (il territorio).

Il ViViT. Vinitaly, per la prima volta, ha dedicato un salone ai vini naturali prodotti da agricoltura biologica e biodinamica, il ViViT (Vigne, Vignaioli, Terroir). Giovanni Mantovani, 54 anni, attuale direttore generale di FieraVerona: «Vinitaly ha sempre intercettato le tendenze. Quella di oggi è di un’attenzione generale ai temi dell’ambiente. Anche da ciò nascerà qualcosa di nuovo. Non si tratta di preferire un vino all’altro: questa tendenza sta ormai interessando tutti i produttori di vino. A vincere sarà il paesaggio e la qualità della vita di tutti».

Un bicchiere di Rosso. Quella volta che Napolitano, al Vinitaly, ruppe il cerimoniale chiedendo un bis di agnolotti piemontesi e un bicchiere di vino rosso.

Vini del territorio. Il ViVit organizzato per ascoltare anche le esigenze di quei consumatori e quei produttori per i quali i buoni risultati nel bicchiere devono andare di pari passo con metodi produttivi a basso impatto ambientale. Elena Pantaleoni, a capo dell’azienda biologica La Stoppa: «Noi partecipanti a ViViT siamo vignaioli che hanno come obiettivo primario fare vini legati al territorio. Come dicono i francesi: vins de terroir. Spesso pratichiamo agricoltura biologica o biodinamica, ma non sempre siamo certificati. In cantina mettiamo in atto pratiche che non alterino le caratteristiche del territorio, ma anche dell’annata e del vitigno; cerchiamo con i nostri vini di esprimere l’unicità e la personalità propria di ogni zona».

Vino biologico. Dall’8 febbraio scorso sono state approvate, dallo Standing Committee on Organic Farming (SCOF), le regole europee sulla vinificazione biologica (Leggi qui il regolamento). Il nuovo regolamento sarà applicabile a partire dalla vendemmia 2012 e i viticoltori biologici potranno finalmente utilizzare il termine “vino biologico” sulle etichette, assieme al logo UE e al numero di codice del competente organismo di certificazione. [aiab.it]

Questione di etichetta. Fino a poco tempo fa la normativa italiana non prevedeva la possibilità di utilizzare in etichetta la dicitura “vino biologico”, ma  si poteva solo scrivere “vino prodotto con uve da agricoltura biologica” (seguendo la normativa di riferimento per la coltivazione biologica ovvero il regolamento CE 2092/91 e modifiche seguenti).

Scendere a compromessi. L’iter per l’approvazione del regolamento sulla vinificazione bio non è stato veloce (era iniziato nel 1991) e il testo secondo Aiab «non è certo quello che il settore del biologico italiano aveva inizialmente proposto, tuttavia è importante aver finalmente ottenuto un compromesso tra tutti gli Stati europei». Cristina Micheloni, del comitato scientifico Aiab e già coordinatrice di Orwine: «Come tutti i compromessi politici il risultato non farà felice nessuno, ma tutti saremo un po’ meno scontenti. Oggi è importante poter parlare chiaramente di vino biologico, avendo definito le norme per il vigneto e per la cantina, e da domani si potrà iniziare a lavorare per il miglioramento del regolamento stesso, portando i dati concreti che nel frattempo abbiamo raccolto nelle tante aziende italiane che con Aiab collaborano nella sperimentazione in cantina». [aiab.it]

I terreni bio. Secondo il Sinab (Sistema informativo nazionale sull’agricoltura biologica) tra superfici già convertite e quelle in conversione, il biologico in Italia rappresentava nel 2009 poco più del 6% del totale vitato, pari ad oltre 43.600 ettari. Le più coinvolte sono le regioni centro-meridionali, mentre tra le regioni grandi produttrici di vini, solo la Toscana è interessata con una percentuale rilevante, pari al 10%. [Ufficio Stampa VeronaFiere]

L’Export. Nonostante la crisi e il calo dei consumi interni, nel 2011 l’export del vino ha superato i 4 miliardi di euro e l’Italia si è confermata leader sul mercato mondiale con una quota del 22%. [La Stampa]

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