Il mese di dicembre si avvia verso una chiusura positiva per i mercati finanziari, con la riforma fiscale di Trump a spingere la piazza americana. Riprende quota lo spread tra il BTP e il Bund: le elezioni nel nostro Paese si avvicinano
Il mese di dicembre si avvia verso una chiusura positiva per i mercati finanziari, con la riforma fiscale di Trump a spingere la piazza americana. Riprende quota lo spread tra il BTP e il Bund: le elezioni nel nostro Paese si avvicinano.
Il punto del mercato. Dopo la correzione del mese di novembre, a dicembre i mercati finanziari si sono mossi all’unisono. Dal fronte asiatico e americano i mercati continuano a correre e a segnare nuovi record: riforma fiscale in arrivo negli Stati Uniti e proseguimento del QE in Giappone spingono al rialzo l’S&P 500 e il Nikkei 225. Anche le piazze finanziarie del Vecchio Continente crescono, tuttavia accompagnate da una crescente volatilità. Le turbolenze arrivano ancora una volta dal settore bancario, intimorito dalle “onnipresenti” preoccupazioni delle autorità di vigilanza sui crediti in sofferenza, ma anche rinvigorito dalla notizia del rinvio al 2022 della nuova normativa “Basilea IV”, che dovrebbe prevedere nuovi requisiti per le banche. Prosegue la risalita del petrolio, rafforzato dopo la decisione dell’Opec di fine novembre di estendere i tagli alla produzione anche a tutto il 2018. Stabile il mercato valutario, con la nostra moneta unica che si mantiene sulla soglia degli 1,18 dollari americani, valore su cui oscilla oramai dal mese di luglio. Sul mercato obbligazionario infine vale la pena sottolineare un rialzo dello spread tra il nostro titolo decennale e il corrispettivo tedesco, che si è portato sui 150 punti base, 10 punti in più rispetto alla media dell’ultimo bimestre. Un movimento dettato da un rialzo del rendimento offerto dal nostro BTP (ora all’1,81%), sinonimo di minore fiducia verso il nostro Paese, su cui incombe lo spettro delle prossime elezioni politiche di marzo.
Banche centrali protagoniste, da est a ovest. Dalla FED statunitense è arrivato l’atteso terzo rialzo dei tassi dell’anno: 25 punti base in più, che spostano il corridoio dei Fed Funds dal range 1-1,25% all’attuale 1,25-1,5%. La Presidente, Janet Yellen, nella sua ultima riunione prima dell’insediamento di Jerome Powell, ha anche annunciato che per il 2018 sono attesi ulteriori tre rialzi. Mario Draghi ha confermato l’outlook positivo per la crescita economica dell’Eurozona: corretta al rialzo la stima del 2018 del PIL, dall’1,8% di settembre, al 2,3% attuale. Una crescita che dovrebbe sostenere anche la ripresa dell’inflazione, ancora lontana dal target della BCE, ora a quota 1,5% annuo. Sempre in Europa, la Bank of England, la Banca Nazionale Svizzera, la Banca Norvegese e quella svedese hanno mantenuto fermi i rispettivi tassi di riferimento, aprendo alla possibilità di eventuali rialzi per il prossimo anno. Infine in Cina la PBOC (la Banca Popolare Cinese), ha inaspettatamente rialzato il costo dei prestiti a breve termine dello 0,05%, portando il tasso al 3,25%, in risposta al rialzo operato dalla FED.
Brexit: la fase uno è archiviata. Dopo circa sei mesi di negoziati, attraversati con non poche difficoltà, la fase uno della Brexit si può considerare conclusa: deciso il saldo del “divorzio” tra Londra e Bruxelles, una cifra pari a circa 45 miliardi di euro, risolta la questione sul confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord e sui diritti dei cittadini europei residenti in Regno Unito. A partire dal prossimo gennaio prenderà il via la seconda fase, l’obiettivo sarà quello di concordare i futuri rapporti commerciali tra le parti in gioco.
Riforma fiscale: in arrivo la prima vittoria per Trump. Nonostante anche la Yellen abbia recentemente mostrato preoccupazione per il possibile impatto sul debito statunitense, la tanto attesa riforma fiscale del Presidente Trump è oramai alle porte. L’ultima revisione del testo della manovra è stata approvata al Senato nella serata di martedì 19; successivamente è atteso l’ultimo passaggio alla Camera prima di presentarla per l’approvazione finale al Presidente. Se la riforma da un lato non convince una grande platea di economisti, preoccupati dell’impatto sui conti del Paese, le imprese dovrebbero essere i maggiori beneficiari, con la “corporate tax” attesa in calo al 21%, dall’attuale 35%.
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