La complessità delle scelte finanziarie a cui ci troviamo di fronte ogni giorno richiede livelli di alfabetizzazione finanziaria spesso superiori a quelli oggi disponibili
Nella vita capita di dover prendere decisioni finanziarie di vario genere: a quale banca affidarsi, che tipo di mutuo scegliere, cosa fare dei propri risparmi, se aprire o meno un fondo pensione. Il problema è che spesso ci mancano le conoscenze necessarie per poter fare una scelta, se non corretta almeno consapevole.
Cos’è l’educazione finanziaria La disciplina che si occupa di dare ai cittadini un’infarinatura di base sui temi di economia e finanza si chiama educazione finanziaria. Purtroppo l’Italia su questo fronte è decisamente indietro rispetto agli altri Paesi sviluppati: secondo una recente indagine condotta dalle autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Consob, COVIP e IVASS), già nel 2015 ben 60 Paesi del mondo si erano dotati di una Strategia Nazionale per il coordinamento delle iniziative di educazione finanziaria (SNEF): l’Italia non è ancora tra questi. Lo studio – a cui hanno preso parte anche il Museo del Risparmio, la Fondazione per l’Educazione Finanziaria e il Risparmio, la Fondazione Rosselli, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e il Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca (MIUR) – si è occupato di censire tutte le iniziative di educazione finanziaria messe in atto nel Belpaese. Ne è emerso un quadro molto frammentato: nel triennio 2012‑14 sono state rilevate 206 iniziative di vario tipo, promosse da 256 soggetti, che spesso hanno visto meno di 1.000 persone coinvolte. Uno degli aspetti più critici dell’educazione finanziaria in Italia, osserva ancora lo studio, riguarda in particolare la formazione dei giovani, naturalmente più propensi all’apprendimento rispetto agli adulti: in ambito scolastico, gran parte delle iniziative sono legate alla proposta individuale dei docenti e dei dirigenti scolastici. Il motivo è presto detto: ad oggi l’educazione finanziaria non è ancora inserita di diritto nei programmi didattici, un po’ perché le materie sono già tante e il tempo è poco, un po’ anche perché i docenti con un’adeguata preparazione sul tema scarseggiano. Una magra consolazione: il problema riguarda anche altri Paesi, non solo l’italia. Mal comune… I risultati si vedono: secondo il Rapporto Consob pubblicato nel 2016 sulle decisioni di investimento delle famiglie italiane, solo poco più del 40% degli intervistati è in grado di definire correttamente concetti di base come inflazione e rapporto fra rischio e rendimento. E sulla previdenza complementare non va meglio: secondo uno studio condotto da CENSIS per la COVIP, pur sapendo di dover integrare la pensione pubblica gli italiani ricorrono poco alla previdenza complementare. Il motivo? Ne ignorano gli aspetti di funzionamento basilari, come i benefici fiscali o il fatto che la rivalutazione dei contributi versati dipende dall’andamento dei mercati finanziari. Infine, la Global Financial Literacy Survey di Standard & Poor’s Ratings Services, diffusa nel 2015, evidenzia che gli italiani sono tra gli adulti meno preparati nel confronto internazionale: solo il 37% conosce almeno tre concetti tra inflazione, tasso di interesse, capitalizzazione composta e diversificazione del rischio, contro una media UE del 52%.
A chi spetta fare educazione finanziaria? Per adesso è stato il mondo finanziario a impegnarsi più di tutti: intermediari finanziari, imprese di assicurazione, associazioni di intermediari, fondazioni bancarie, fondazioni assicurative e così via. Un ruolo rilevante è stato rivestito anche dal settore scolastico e dalle associazioni di categoria e di consumatori. I prossimi passi sono ancora da scrivere, ma una cosa è certa: un risparmiatore informato è un risparmiatore più consapevole. E a beneficiarne è l’intera collettività.
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