Il tablet e la didattica per competenze

In meno di cinque anni i tablet sono entrati nella vita e nelle case di un numero impressionante di persone: secondo una ricerca IDC nel 2013 sono stati consegnati in Italia 25 milioni di unità....

In meno di cinque anni i tablet sono entrati nella vita e nelle case di un numero impressionante di persone: secondo una ricerca IDC nel 2013 sono stati consegnati in Italia 25 milioni di unità.

Questa rivoluzione non poteva non coinvolgere anche la vita dei ragazzi e di riflesso anche la scuola. La fondazione Aherf a questo proposito ha intervistato Dianora Bardi, fondatrice e vicepresidente del Centro Studi ImparaDigitale che, oltre a essere professoressa di lettere al Liceo Scientifico Lussana di Bergamo, sviluppa progetti e dirige corsi di formazione sull’uso delle nuove tecnologie a scuola. La professoressa Bardi ha realizzato una delle prime sperimentazioni didattiche basate sull’uso dei tablet in Italia: “Ero un po’ stanca di sentire parlare i professori universitari sul valore o non valore degli e-book come tali, per cui ho detto: proviamoli in classe“.

La professoressa Bardi sostiene che, dopo aver cominciato la sperimentazione con gli i-Pad, il suo modo di fare scuola sia inevitabilmente cambiato e si sia maggiormente avvicinato a quella che viene definita “didattica per competenze”: “La didattica per competenze, in base alla legislazione europea e italiana, è la didattica in cui la valutazione di un alunno non si basa semplicemente sulle sue conoscenze, ma si considera anche se il ragazzo ha trasformato le sue abilità in competenze in contesti dati. È un modo completamente nuovo di fare valutazione, di fare scuola, perché finisce la lezione frontale e bisogna invece fare laboratori, lavorare in modo collaborativo, co-creare documenti: si trasforma completamente la didattica per permettere agli studenti un domani di potersi integrare in Europa e di avere una certificazione che sia valida anche in Europa“.

L’introduzione delle tecnologie nella scuola deve avere come scopo principale quello di innovare la didattica, altrimenti la presenza degli strumenti non solo sarà superflua, ma anche controproducente: “Le tecnologie da sole non fanno niente, la tecnologia permette semplicemente di fare una didattica migliore, ci permette di fare cose che se non avessimo la tecnologia non potremmo fare, quindi la tecnologia è uno strumento, punto, non ha nessuna altra funzione. Quello che io sto cercando di fare in Italia, è far capire che se tu metti la tecnologia in classe, per esempio i Tablet o un Pc e stai dietro la cattedra e spieghi in modo tradizionale, i ragazzi accedono a Facebook dopo un minuto. Quindi è chiaro che se tu dai in mano uno strumento così ai nostri ragazzi, è come se gli dicessi di accendere il cellulare e di guardarlo, in questo modo sei sicuro che non ti seguono. Per evitare questo, per non intendere la tecnologia come un lettore di libri elettronici o come uno strumento soltanto per prendere appunti, bisogna cambiare la didattica, altrimenti diventa un boomerang terribile, cosa che è avvenuta in alcuni casi. Io so di scuole che hanno introdotto i tablet e poi li hanno messi nel cassetto dicendo che distraeva e basta, ma in realtà distraggono se gli insegnati non fanno lavorare seriamente i ragazzi“.

Utilizzare le tecnologie a scuola ha, inoltre, il merito di favorire l’apprendimento di un nuovo tipo di competenza che aiuterà i ragazzi a vivere nella società dell’informazione e ad essere “cittadini digitali”. “Nel mondo del lavoro di oggi si richiede che le persone siano autonome, che sappiano risolvere i problemi, che lavorino in team, che sappiano andare su Internet, che siano globalizzati, poi è l’azienda che provvede a formarli sulle compente specifiche di cui ha bisogno. Chiedono una ‘nuova forma’ di giovane, che nella vecchia maniera di fare scuola non viene fuori perché il giovane è passivo di fronte alla lezione del docente. Quindi adesso bisogna preparare i nostri ragazzi a un mondo del lavoro diverso dove tu debba loro insegnare a saper progettare, a lavorare in gruppo, a condividere del materiale, a collaborare nel Cloud, a interagire nella rete, ad essere un cittadino digitale ‘responsabile’. Devi insegnare loro a muoversi nel digitale, il copyright, le leggi, i creative commons, come si fa a selezionare i siti, come si selezionano le risorse digitali e così via“.

Chiara Visentin
Blogger

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