Nel 2016 in Europa, PIL in crescita a oltre +1% e inflazione tornata poco sotto il 2%. Ecco come leggere questi dati per capire le prossime mosse della BCE
Secondo gli ultimi dati Eurostat l’inflazione Europea è cresciuta quasi del 2%, in perfetta linea con il target fissato dalla Banca Centrale. Nello specifico per il 2016, l’inflazione annuale di gennaio è cresciuta all’1,8% dal timido 1,1% di dicembre. Il PIL invece, è cresciuto dello 0,5% nel quarto trimestre e dell’1,7% nel suo complesso in tutto il 2016, addirittura meglio rispetto all’1,6% degli Stati Uniti nel 2016. Dati che a un primo sguardo possono far pensare a un contesto economico molto positivo e che potrebbero portare a certe scelte di investimento, salvo poi farci ricredere davanti a un’analisi più approfondita. Andiamo a esaminare uno dei due dati pubblicati: l’inflazione.
L’influenza dell’inflazione sulle scelte d’investimento. Come abbiamo detto, la Banca Centrale Europea ha come obiettivo primario quello di mantenere l’inflazione poco sotto il 2%, cosiddetto target, servendosi della politica monetaria. Uno strumento che viene utilizzato per far questo è il Quantitative Easing (QE), ossia l’acquisto mensile di titoli obbligazionari. In questo modo la BCE immette liquidità nel sistema e riesce a mantenere bassi i tassi d’interesse che favorendo la ripresa economica e il recupero dell’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Qualora l’inflazione cresca troppo velocemente, tuttavia, va “arrestata” con il rialzo dei tassi d’interesse e di conseguenza con una variazione della politica monetaria. In altre parole passando da una politica espansiva a una politica restrittiva, chiamata tapering. Se la BCE smettesse di acquistare i titoli obbligazionari l’effetto sui tassi d’interesse sarebbe di un aumento immediato e il prezzo dei bond si ridurrebbe drasticamente; questo avrebbe un effetto anche sulle borse e di conseguenza andrebbe a influenzare le decisioni degli investitori obbligazionari (e non solo).
Inflazione, adesso c’è da preoccuparsi? Alla luce di questo ragionamento bisogna chiedersi se la Banca cambierà davvero la sua politica monetaria considerando gli ultimi dati sull’inflazione e così creando l’effetto a cascata sui mercati. La risposta per quanto curiosa è mostrata nel grafico che mostra le variazioni rispetto al mese precedente delle varie componenti (Energia, Cibo, Servizi e Beni non industriali) usate per il calcolo dell’inflazione:
Nel grafico si possono vedere le componenti che hanno causato l’incremento dell’inflazione dall’1,1% di dicembre 2016 al 1,8% di gennaio 2017: un balzo notevole considerato solo un mese. Si nota che la componente maggiore di questo balzo è stata l’energia, passata dal 2,6% di dicembre 2016 all’8,1% di gennaio 2017. Bisogna ricordarsi che nel settore energia è compreso il petrolio; questo per dire che l’aumento dell’inflazione non è dovuto a un maggior benessere dell’economia, ma semplicemente agli accordi di Vienna sul taglio della produzione del greggio di dicembre 2016 e gennaio 2017 e di conseguenza l’aumento del prezzo del petrolio.
A conferma di tutto ciò cosa succede all’inflazione se andassimo a togliere la componente petrolio? Basta servirsi dell’indicatore chiamato inflazione “core”.
La risposta è quindi una linea piatta ferma a 0,9% rispetto a quella in aumento all’1,8% che comprende il settore energia. Alla luce di questi dati è più facile capire perché il Presidente della BCE Mario Draghi ha annunciato che l’ipotesi di un’ulteriore riduzioni del Quantitative Easing (QE) è rimandato al prossimo meeting di marzo.
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