Luisa Manfrini: la food designer che ama le piante

Dal design al piatto, purchè sia green: Luisa Manfrini è una food designer che crea esperienze col cibo e un'esperta di sostenibilità alimentare. In questa intervista ci racconta la sua visione di un futuro plant-based

Dall’industrial design a quello del cibo, passando la sostenibilità. Si può riassumere così il percorso di Luisa Manfrini, che ha iniziato la sua carriera per brand internazionali ispirandosi al concetto di design come “arte di unire ricerca estetica e funzionalità, andare oltre l’esercizio di stile per costruire esperienze complete e trasversali», per poi approdare allo studio del cibo, delle piante e delle loro mille potenzialità.

“Intorno al 2012”, racconta Luisa, “il mondo del design ha iniziato ad annoiarmi, a non offrirmi più gli stimoli che desideravo. Così ho deciso di applicare le mie conoscenze al cibo e, in particolare, alle piante».

Quel cambiamento professionale per Luisa è coinciso con una svolta personale: in quel periodo è diventata vegetariana, ha iniziato a coltivare uno stile di vita sostenibile e a basso impatto. Da allora, nel suo percorso, la carriera e la filosofia di vita sono andate a braccetto. Oggi Luisa è una delle principali divulgatrici ed esperte italiane del food design sostenibile, con un occhio particolare al mondo vegetale e alle sue potenzialità nel cambiamento del nostro approccio alla vita, anche per adattarci a un mondo che cambia.

Come hai sviluppato la sensibilità ambientale e in che modo i principi sostenibili ti hanno guidata nello sviluppo del tuo percorso?

«Studiando, aggregando idee ed esperienze. Ho iniziato i primi approfondimenti quando sono diventata vegetariana, leggendo libri illuminati di maestri come Jonathan Safran Foer o Michael Pollan. In quel momento la sensibilizzazione personale diventa automatica. Parti dal cibo, arrivi all’ecologia e capisci che il futuro del mondo sono davvero le piante».

Ci racconti come hai maturato questa visione plant-based?

«Le piante sono il nostro principale alleato contro il cambiamento climatico poiché riforestando le città le potremmo rendere più vivibili. Le piante hanno molteplici e trasversali utilizzi: possono diventare bio-materiali per l’edilizia, oggetti di arredo, fibre tessili. Come dice un grande architetto: “le piante vanno dal cucchiaio alla città“. E vale anche sul piano personale; sono diventata vegetariana per ridurre il mio impatto sul mondo e perché un cibo più ecologico è anche più sano. Da lì, avendo tante materie prime vegetali in casa, sono passata al beauty e all’autoproduzione. E ho sviluppato quella piccola sostenibilità domestica che è davvero alla portata di tutti noi».

Luisa_Manfrini_Vita Plant-Based

credits: @luisa_manfrini

Uno dei focus del tuo lavoro è superare il concetto di scarti: come possiamo cambiare mentalità e che effetti può avere sul miglioramento di tutta la filiera?

«Lo scarto può essere valorizzato su ogni scala, dalle nostre case alla filiera dei cibi. Spesso definiamo qualcosa come scarto solo per cattiva conoscenza, non sappiamo che tante parti degli alimenti vegetali si possono usare per fare altro. A volte dipende anche dalla pigrizia, o da certe abitudini di consumo, dall’eccessivo packaging, ma c’è tutto un mondo di ricette zero waste, prodotti di beauty da creare in casa, modi per integrare la cucina con il giardinaggio. Non esiste sostenibilità senza una riduzione radicale degli scarti».

Questa articolata filosofia di vita per Luisa Manfrini si è tradotta in una altrettanto composita vita professionale, che parte con la nascita del suo primo studio professionale, Egg Food Design, creato insieme a una socia nel 2013, quando l’Italia viveva l’onda di riscoperta del valore culturale e ambientale del cibo che ci avrebbe portato fino a Expo 2015. «Ci premeva lavorare sul design del cibo come progettazione e non solo come cosa cool creando esperienze di socializzazione mirate al racconto e al coinvolgimento di tutti i sensi, come solo il cibo sa fare».

Uno dei pilastri del lavoro di Luisa, anche dopo Egg Food Design, è stato usare il linguaggio del cibo – la sua forma, il suo colore, la sua consistenza, il suo odore, il suo gusto – come strumento a disposizione delle aziende per raccontare se stesse. In molti casi si tratta di aziende che non lavorano in modo diretto col cibo, ma che possono usarlo per illustrare visioni, storia, valori. L’esperienza Egg Food Design si è chiusa nel 2017, quando Luisa ha rafforzato la sua visione green ed ecologista, per raccontare percorsi di sostenibilità attraverso laboratori, team building, workshop.

Una delle nuove sfide è Strafood, una serie di progetti di comunicazione per aziende finalizzati a contrastare lo spreco degli scarti alimentari. Luisa organizza anche laboratori dedicati ai bambini insieme a Fairtrade per educarli all’ecologia e alla sostenibilità, ambientale, ma anche sociale ed economica.

StraFood

credits: #strafood

Come sta cambiando la comunicazione digitale del food e come pensi debba evolversi?

«Una chiave è la consapevolezza: è giusto sapere quanti litri d’acqua costa una singola bistecca. E poi si va verso un racconto ampio e trasversale, oltre la ricetta. Le aziende hanno bisogno di strumenti per raccontare la propria sostenibilità, è una conversazione ancora piena di contraddizioni. Ma c’è un mondo di influencer green che stanno creando strumenti e linguaggio. È un mondo ancora frammentato, ognuno ne racconta un piccolo pezzetto slegato dal contesto. A me invece intriga la trasversalità, passare da una categoria all’altra, dall’architettura all’oggetto di design, al piatto».

Ripensando al tuo percorso, che consigli daresti alle persone che intendono sviluppare progetti personali analoghi?

«Non lo so! C’è un mix di fato, cose che accadono, di circostanze. Il mercato è cambiato in questi dieci anni. Posso dire che questi percorsi sono strettamente personali, io ho seguito quello che mi piaceva, qualcosa che era legato ai miei valori. E questo aiuta ad avere l’entusiasmo di affrontare le difficoltà con lo spirito giusto. Ogni volta che fotografo un frutto o una verdura penso: ma quanto sono belle?»

Quali progetti ti piacerebbe sviluppare in futuro, per ispirare le persone?

«Mi piacerebbe tornare verso l’architettura, per progettare qualcosa di più ampio, che vada oltre il cibo, modulabile all’interno delle abitazioni. Non posso anticipare ancora troppo, ma vorrei introdurre un modo nuovo di vivere gli spazi, più verde. Con i vari lockdown abbiamo davvero capito che alle nostre case manca qualcosa».

E tu, pensi che il tuo stile di vita sia già sostenibile o che possa migliorare? Cosa fai al riguardo?

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