Secondo lo studio degli economisti Blanchflower e Oswald i soldi non fanno la felicità: se non quando comprano tempo per noi
Desiderare di essere felici è insito nella natura umana: l’uomo ricerca la felicità come condizione di benessere psicologico durante tutta la propria vita. Eppure pare che la felicità sia uno status raggiungibile, ma solo in determinate età. E i soldi non sono la chiave della felicità, se non quando ci consentono di “comprare” più tempo per noi stessi e le persone che amiamo. Lo studio di due economisti inglesi, Blanchflower e Oswald, ha evidenziato che nella vita di ogni individuo arriva un momento in cui le illusioni crollano e si realizza di essere infelici: la perdita della felicità si realizzerebbe, secondo l’indagine, con l’arrivo della mezza età, più o meno verso i cinquant’anni. Se i cinquantenni subiscono questa ricaduta psicologica, ciò è da imputare anche a fattori esterni, che gravano sulla condizione psichica dell’individuo. Per giungere alla conclusione che i cinquantenni sono i meno felici, lo studio ha preso in esame circa 1,3 milioni di individui, provenienti da ben 51 diversi Paesi del mondo. Una vera e propria ricerca globale.
La forma della curva della felicità. Eppure, la speranza è l’ultima a morire: infatti, se nel “mezzo del cammin” il disincanto e la negatività prendono il sopravvento, è possibile recuperare il sorriso man mano che passano gli anni. In particolare, infatti, dai sessant’anni in su il percorso verso la felicità è tutto in salita. I risultati a conclusione della ricerca, possono essere riassunti graficamente in una curva che ha la forma di una “U”.
Cerchiamo di capire quali sono le possibili ragioni che si celano dietro i cambiamenti d’umore che affrontiamo nella nostra vita.
A 20 anni alla conquista del mondo. Non solo da più piccoli, ma anche nella prima età adulta la felicità è a un palmo dal naso. A quell’età, infatti, si è pervasi dalla sensazione di avere “tutta una vita davanti a sé”, ragione per cui anche quando si cade, rialzarsi è facile. Gli ostacoli di ogni giorno sono solo sfide da affrontare con entusiasmo e carica. Ecco perché dai 20 sino ai 30 anni, il prevalente ottimismo fa sì che ci si possa considerare tutto sommato felici.
Vicino ai 40 anni niente più illusioni. Lasciatisi alle spalle i trent’anni, la curva inizia a tendere verso il basso. Forse non ci si è realizzati nel lavoro che si sognava, così comincia ad affiorare qualche rimpianto e un po’ di amarezza, ma ancora c’è uno spiraglio di ottimismo che ci spinge a perseguire i propri obiettivi, posto che il pessimismo adesso è proprio dietro l’angolo…
A 50 anni il dado è tratto! Ed eccoci qui, i cinquant’anni. Probabilmente, le possibili delusioni della vita hanno tirato qualche colpo mancino alla nostra autostima e con essa anche la nostra felicità. I giochi possono sembrare già finiti, non si percepisce alcuna possibilità di rivincita.
A 60 anni i problemi appartengono al passato. Al compimento dei sessant’anni, è il momento di lasciarsi alle spalle i pensieri negativi. A quest’età ci si rende conto che non ha senso piangere sul passato e con l’arrivo della pensione si ha più tempo da dedicare a sé stessi. Il passato si accetta per ciò che è stato e le esperienze vissute contribuiscono a riacquistare autostima e serenità.
Più tempo per essere felici. Già dal cosiddetto paradosso di Easterlin, si è messo in discussione il fatto che i soldi possano fare (o comprare) la felicità. Secondo la teoria di Easterlin nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e ricchezza. Anzi, all’aumentare del proprio reddito, e quindi del benessere economico, la felicità aumenta sì ma fino ad un certo punto. Poi inizia a diminuire. Un’altra ricerca, condotta dalle università di Harvard, British Columbia, Maastricht e Amsterdam, ha eletto a fautore della felicità il tempo. Ebbene sì, il tempo che da sempre è la sola cosa che nessun uomo è in grado di fermare, sembrerebbe in cima alla lista dei fattori che contribuiscono a renderci felici. Dalla ricerca, infatti, emerge che ciò che ci rende felici è “comprare il tempo”. Quando i soldi servono per ritagliare del tempo per sé, allora contribuiscono alla nostra felicità: ad esempio, pagare una persona che svolga il lavoro domestico e le commissioni al proprio posto è un modo in cui i soldi riescono a farci risparmiare del tempo per noi stessi. I soldi sono il frutto del lavoro, ma il lavoro ci ha resi legati a ritmi che spesso riducono al minimo il tempo che si ha a disposizione per curarsi di sé e dei propri interessi. La chiave della felicità dunque sta nel concedersi una pausa dal turbine di ansie e frenesie in cui, a volte, ci si sente trascinati durante la propria vita.
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