Tobin Tax: facciamo il punto

Mancano pochi giorni all'introduzione della Tobin Tax. Ecco di che si tratta e chi dovrà pagarla...

Linea di partenza. La notizia è questa: lo scorso 22 gennaio i ministri dell’Economia dell’Unione europea hanno autorizzato 11 paesi membri, tra cui l’Italia, ad applicare la cosiddetta Tobin Tax, che dal 1° marzo farà la sua comparsa in Europa. Una svolta importante, auspicata dai sostenitori quanto temuta da chi invece ne paventa gli effetti negativi, e che di fatto segna la prima attuazione di un’imposta nata 40 anni fa, ma che finora è vissuta più che altro nei libri di economia e nelle disquisizioni accademiche. Ma di cosa si tratta?

Alle spalle c’è un Nobel. Padre della tassa che porta il suo nome è James Tobin, Premio Nobel per l’economia nel 1981. Nove anni prima, nel 1972, Tobin propose una misura per stabilizzare i mercati finanziari, che erano soggetti a grandi fluttuazioni dopo la fine degli Accordi di Bretton Woods (l’insieme di norme che hanno regolato il sistema monetario internazionale dal 1944 al 1971).  La sua ricetta era semplice: un’imposta che avrebbe colpito le transazioni sui mercati valutari – a quel tempo i derivati (cioè strumenti finanziari che derivano il loro valore dal prezzo di uno o più beni di mercato) ancora non esistevano – con un’aliquota compresa fra lo 0,05 e l’1%. In questo modo si sarebbero penalizzate le le speculazioni a breve termine e allo stesso tempo si sarebbero procurate entrate per la comunità internazionale.

A favore e contro. L’idea di James Tobin ha acceso subito il dibattito e diviso il pubblico degli addetti ai lavori, ma anche dei semplici risparmiatori, tra ferventi sostenitori e accaniti contrari. Tra gli argomenti dei primi, il fatto che l’introduzione della tassa garantirebbe un gettito di 166 miliardi di dollari all’anno: il doppio di quanto sarebbe necessario per eliminare la povertà estrema. Questa tesi è stata anche fatta propria dal movimento antiglobalizzazione, per quanto lo stesso Tobin ne abbia preso le distanze, ribadendo che la sua proposta aveva altri fini. Tra le obiezioni, invece, la considerazione che la sua applicazione dev’essere necessariamente globale, altrimenti l’unico effetto sarebbe quello di spostare le speculazioni da un mercato all’altro. Nel 1984, comunque, qualcosa di molto simile alla Tobin Tax venne introdotto dal governo svedese, portando introiti inferiori del 75% a quanto previsto, semplicemente perché le transazioni diminuirono. 

Il ritorno. Dopo quattro decenni dalla sua prima formulazione, dunque, la Tobin Tax sta per fare il suo ingresso in Europa. Secondo le direttive dell’Ecofin, l’organismo che raggruppa i ministri delle Finanze europei, l’introduzione dell’imposta è su base volontaria: i paesi che potranno procedere in questa direzione sono, al momento, Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. E naturalmente Italia, dove la Tobin Tax arriverà a scaglioni.

Percorso a tappe. Il debutto, come s’è detto, sarà il 1° marzo, ma solo per quanto riguarda i titoli azionari con una capitalizzazione uguale o superiore ai 500 milioni di euro. A luglio sarà la volta degli altri strumenti: imposta fissa sui contratti a termine (i cosiddetti future, cioè contratti con cui le parti si impegnano a scambiarsi dei titoli a un prezzo e una scadenza predefiniti),  sugli strumenti derivati e sulle operazioni relative a valori mobiliari.
 Per il 2013 la quota – dovuta solo da chi acquista azioni e non da chi le vende – sarà pari allo 0,12 % sulle compravendite di titoli italiani sui mercati regolamentati e allo 0,22 % su quelli non ufficiali. A partire dal prossimo anno il prelievo dovrebbe essere ridotto, rispettivamente, allo 0,1% e 0,2%. Per i derivati, invece, il calcolo sarà diverso: si pagheranno quote fisse, a seconda del tipo di strumento e del valore del contratto, e saranno dovute sia da acquirente sia da venditore. Ma se ne parlerà, appunto, solo a partire da luglio.

C’è chi dice no. Il gettito atteso dal governo per questa operazione, stando alle parole del ministro dell’Economia Vittorio Grilli, è di circa 1 miliardo di euro. Non è ancora chiaro, però, come verrano spesi questi soldi, che a livello europeo potrebbero arrivare a 35 miliardi di euro. C’è da registrare, infine, la decisa opposizione del Regno Unito, che già impone una tassa sulle transazioni azionarie. Per alcuni osservatori, l’introduzione della Tobin Tax potrebbe aprire un’altra spaccatura fra i paesi membri con la possibilità, secondo il Guardian, di arrivare addirittura a un’uscita della Gran Bretagna dalla Ue.

E io pago! Tornando all’Italia, alla fine, chi dovrà pagare la Tobin Tax? Come si è detto, l’imposta è a carico di chi compra azioni (a chi vende non sono chiesti esborsi) mentre interesserà entrambe le parti per quanto riguarda i derivati. Ma sono previste anche delle esenzioni. Non sono soggetti a tassazione i titoli di società con capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro. Secondo il  quotidiano finanziario Italia Oggi, sono 219 su un totale di 295 del mercato azionario italiano: l’imposta, quindi, graverebbe solo sul 26%. Per i trader che voglio sapere subito se e quanto dovranno pagare, comunque, è disponibile su internet il primo “calcolatore di Tobin Tax” per tutti gli strumenti finanziari: basta inserire società, tipo d’azione e la quantità che si vuole negoziare e il gioco è fatto. La nuova tassa interessa anche tutti coloro che hanno un conto corrente abilitato alle operazioni di trading, cioè soggetti privati che effettuano in proprio operazioni di compravendita. Ma, anche in questo caso, dovrebbe risentirne particolarmente solo chi fa abitualmente un alto numero di operazioni.

I risparmi non si toccano. Non rientra nell’ambito di applicazione della Tobin Tax italiana il trasferimento di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio gestito e assicurativo. Quindi niente titoli di Stato o obbligazioni, né fondi comuni o polizze “unit linked” (i cui premi sono utilizzati per sottoscrivere fondi d’investimento). E nemmeno azioni Sicav, cioè emesse da società che hanno come fine unico l’investimento collettivo del patrimonio raccolto. Per finire, sono esclusi anche gli strumenti finanziari esteri: se un prodotto è ibrido, cioè in parte italiano e in parte estero, verrà tassato solo se la componente tricolore è superiore al 50%.

Banco di prova. La Tobin Tax europea, per come è stata varata, è abbastanza diversa da quanto aveva previsto il suo ideatore, che nel 1972 proponeva di tassare solo le transazioni valutarie, cioè tutte le operazioni di conversione da una valuta a un’altra. L’idea, però, è ancora quella di fondo: fare cassa a spese degli speculatori. Funzionerà? A questo proposito gli esperti sono tuttora piuttosto divisi.

Chi colpirà. La tassa, infatti, colpirà particolarmente chi fa operazioni finanziare nel breve e brevissimo periodo, mentre chi opera nel lungo periodo e conserva nel tempo il proprio investimento non ne soffrirà particolarmente, perché effettua poche operazioni. Insomma, dicono gli scettici, ne faranno le spese soprattutto le banche, cioè uno dei settori economici più internazionalizzati che ci siano, col rischio concreto che chi effettua molte operazioni di compravendita di titoli sposti i suoi capitali altrove, per investirli in  mercati più redditizi.

Dall’altra parte. Ma c’è anche chi, come l’economista Tito Boeri, ritiene che il rischio di fuga degli investimenti si possa facilmente evitare. E come esempio cita proprio l’imposta di bollo sulle transazioni applicata in Inghilterra (pari allo 0,5%), formulata in modo da essere pagata da tutti, compreso un buon 40% di residenti all’estero.

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