Cos’è e a cosa serve la Teoria dei Giochi

È nata nel secolo scorso ed è stata sviluppata negli anni attraverso studi e simulazioni matematico-psicologiche. Vediamo di cosa si tratta e come si applica alla vita di tutti i giorni

Chi tra voi gioca a poker sa che, quando si pianifica una mossa o si decide di puntare una cifra piuttosto di un’altra, la cosa più vantaggiosa è fare mosse perfettamente razionali che restituiscono il maggiore profitto possibile, a scapito degli avversari. Se tutti i giocatori si muovono guardando solo al massimo vantaggio per se stessi, gli esiti potrebbero non essere quelli attesi.  Proprio partendo dal poker John Nash, matematico ed economista statunitense, sviluppò un assunto in grado di far fare importanti passi in avanti alla Teoria dei Giochi.

La Teoria dei Giochi, in pillole. In principio ci fu il libro “Theory of Games and Economic Behavior”, pubblicato agli inizi degli anni Quaranta dagli economisti John Von Neumann e Oskar Morgenstern. In poche parole, la Teoria dei Giochi parte dal presupposto che in ogni “gioco” – o rapporto economico – l’obiettivo di ognuno sia vincere, secondo una strategia che però tenga conto delle mosse e contromosse di una o più controparti in una dinamica che può essere cooperativa o non cooperativa. Ora, nella vita di tutti i giorni le situazioni cooperative non sono molto ricorrenti, ed è per questo che il focus si è concentrato soprattutto sulle situazioni non cooperative, in cui le parti sono fondamentalmente in concorrenza tra di loro. A questo proposito, negli anni Cinquanta Nash introdusse un concetto semplice (ma matematicamente molto complesso): il raggiungimento di un equilibrio tale per cui a un giocatore, non potendo sapere cosa ha intenzione di fare l’altro, non conviene migliorare ulteriormente la propria situazione. È l’Equilibrio di Nash, che si contrappone all’Ottimo di Pareto. E lo possiamo vedere ricorrendo al famigerato Dilemma del Prigioniero.

Il Dilemma del Prigioniero. Due individui, accusati di aver commesso un reato insieme, vengono arrestati e condotti in due celle separate. Fra di loro, nessuna comunicazione è consentita. Ai due viene proposto di collaborare con gli inquirenti confessando tutto, tenuto presente che:

  • se solo uno dei due confessa, chi ha confessato non viene sottoposto a condanna alcuna, mentre all’altro toccano 10 anni di carcere;
  • se tutti e due confessano, la condanna è di 5 anni per entrambi;
  • se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a un anno.

Tutto questo è tipicamente rappresentato dalla seguente matrice.

Se i due prigionieri potessero siglare un’intesa, molto probabilmente finirebbero col non confessare, assicurandosi così entrambi il vantaggio di una pena molto esigua: e questo sarebbe l’Ottimo di Pareto, che si ottiene appunto massimizzando il profitto di tutti. Peccato, però, che nei giochi non cooperativi la situazione sia la seguente: i giocatori puntano a ottenere il massimo risultato per sé, ma al contempo devono mettere in conto le possibili scelte degli altri giocatori, con cui non possono stringere accordi. Ed ecco allora che scatta l’Equilibrio di Nash: ovvero, la confessione di entrambi. In termini più “esotici”, potremmo dire che si tratta di quel “punto di equilibrio” raggiunto il quale nessun giocatore è incentivato a migliorare la propria strategia, non avendo la possibilità di conoscere quella dell’altro né di accordarsi preventivamente con lui.

La Teoria dei giochi nella pratica. Nella vita vera, la Teoria dei Giochi trova applicazione? Sì e no. In macroeconomia e nella microeconomia, in effetti, questa teoria può rappresentare la chiave di lettura (e di volta) di molte situazioni abbastanza tipiche. Qualche esempio? Ce l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni: l’area euro. L’unione monetaria raduna attorno a sé – ad oggi – 19 Stati, non tutti allo stesso livello in termini di solidità economica e finanziaria. Ma è il gioco cooperativo che li fa stare insieme: i Paesi più solidi collaborano accettando di destinare parte delle proprie risorse al sostegno di quelli meno solidi, mentre questi ultimi cooperano rinunciando a parte della propria sovranità e facendo proprie le condotte di rigore e austerità su cui i primi insistono molto. C’è un altro caso: le trattative commerciali tra Stati Uniti e Cina. E la microeconomia? Qui la Teoria dei Giochi può valere quando due aziende si confrontano per stabilire il prezzo di un bene, o fra un’impresa e un cliente nella vendita di un bene o un servizio.

Al contrario, è sostanzialmente impossibile che questa teoria – per quanto affascinante – possa funzionare quando parliamo di risparmio e scelte d’investimento. E la ragione è molto semplice: ognuno di noi dovrebbe riuscire a prefigurarsi, con un apprezzabile grado di precisione, la direzione che prenderanno le scelte di una quantità X di altri giocatori. Un esercizio fattibile in astratto, ma rischioso da tradurre in pratica.

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