Economia: silenzio, parlano le banche centrali

I verbali della Fed confermano la cautela e l’attenzione al dossier commerciale, mentre la Banca Centrale Europea si prepara alla nomina del successore di Draghi

C’è una cosa da dire subito sui verbali della Federal Reserve diffusi il 22 maggio. I documenti riportano quanto i membri del Federal Open Market Committee (FOMC), il braccio esecutivo della Fed, si sono detti durante l’ultima riunione di politica monetaria, che si è conclusa, lo ricordiamo, il primo maggio con tassi fermi al 2,25%-2,5%. Ben prima, quindi, del riacuirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, con il presidente Donald Trump che ha alzato i dazi su 200 miliardi di dollari di merci cinesi dal 10% al 25% e bloccato di fatto le attività di Huawei. Teoricamente, quindi, le considerazioni dei funzionari Fed avrebbero dovuto suonare superate dagli ultimi eventi: invece no.

Effetto dazi, nuovo monito della Fed. “Le politiche commerciali e gli sviluppi economici esteri potrebbero muoversi in direzioni aventi effetti negativi significativi sulla crescita economica degli Stati Uniti”. Evidentemente, quando ancora gli attori coinvolti nelle trattative sostenevano e ribadivano che tutto procedeva bene, la Fed aveva già altri elementi di giudizio. O, più semplicemente, ha solo messo in conto che potesse verificarsi una nuova, più o meno momentanea rottura. Ma, a proposito di crescita USA, quali sono le stime? Nelle minute alcuni membri del FOMC ipotizzano che la felice variazione del PIL nel primo trimestre del 2019 (+3,2%) potrebbe essere un una tantum. Questo anche alla luce di alcuni dati che sembrano suggerire una moderazione della crescita dopo un 2018 che ha fatto registrare la migliore prestazione dal 2015, con un +2,9%. Oppure no: secondo altri, la crescita USA nel 2019 sarà più forte di quanto stimato proprio in virtù della buona performance del primo trimestre. Insomma, tutto può ancora succedere.

Come si ripercuote questo sui tassi? La riunione del 30 aprile e primo maggio, lo abbiamo detto, si è conclusa con tassi fermi. Nel motivare questa decisione, la Fed ha ribadito il suo approccio “paziente”. Un tipo di approccio che “resterà probabilmente appropriato per un po’, specialmente in un contesto di crescita economica moderata e di pressioni inflattive invariate, anche se le condizioni economiche e finanziarie globali hanno continuato a migliorare”. Il PCE core – il dato core della spesa personale per consumi, misura di inflazione attentamente monitorata dalla Fed – a marzo ha mostrato un +1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, a fronte dell’1,7% atteso e più lontano dal 2% del target Fed. Secondo la banca centrale, tuttavia, la recente debolezza dell’inflazione è un fenomeno temporaneo, quindi non è il caso di abbassare la guardia tagliando i tassi, a dispetto delle pressanti richieste di Trump. La questione non è chiusa: la Federal Reserve aspetterà e starà a vedere.

Draghi promosso dal Financial Times. Alle minute della Fed hanno fatto seguito, con appena un giorno di distanza, quelle dell’ultima riunione di politica monetaria della BCE, che si è svolta il 10 aprile e che pure ha lasciato i tassi fermi. Il board ha messo l’accento sul rallentamento della crescita, oltre che sulle incertezze legate a fattori geopolitici, sulla minaccia del protezionismo e sulle vulnerabilità nei mercati emergenti. Prossima riunione il 6 giugno, mentre il 28 maggio è in programma un vertice straordinario del Consiglio Europeo sul pacchetto di nomine UE. E, come ha scritto il Financial Times, nessuna nomina in Europa quest’anno sarà più importante di quella del successore di Mario Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea (il suo mandato scade a ottobre), dal momento che “il blocco dei 19 Paesi dell’area euro è incline alla turbolenza per via di tensioni politiche interne, banche fragili, elevato debito pubblico, performance economiche divergenti e bassa crescita complessiva”. Quindi “è essenziale che i leader UE scelgano un banchiere centrale che, come Draghi, abbia l’autorità, l’esperienza, la forza di carattere per agire in modo deciso durante una crisi”. Posto che, secondo l’FT, è improbabile che non se ne scateni un’altra nell’arco degli otto anni del prossimo mandato.

Quali riflessi sui portafogli? I verbali usciti a fine maggio non hanno avuto particolari ripercussioni sui mercati, preoccupati più che altro per lo stallo nelle trattative USA-Cina, per il voto europeo e per la sempre più traballante posizione del primo ministro Theresa May nel Regno Unito. Anche se, va detto, quando c’è in calendario un qualunque intervento di politica monetaria, scatta di default il “silenzio, parla la banca centrale”. Gli operatori tendono l’orecchio per cogliere un segnale ben preciso: le autorità sono disposte a continuare a infondere fiducia e a sostenere l’economia? Dal 2008 a oggi è sempre stato così, al punto che l’annunciato riassorbimento delle importanti iniezioni di liquidità degli anni scorsi sta procedendo con estrema prudenza e non troppa convinzione. Un “avanti adagio” da cui mercati e investitori potrebbero ancora trarre beneficio. Ferma restando, per questi ultimi, la regola d’oro: diversificare, diversificare, diversificare.

 

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