Il clima finanziario ha raggiunto un punto di svolta

I recenti sviluppi socio-economici hanno accelerato gli sforzi del sistema finanziario per lo sviluppo di una finanza sostenibile più concreta. Durerà anche dopo la fine della crisi?

Se ne è parlato tanto negli ultimi anni e con lo scoppio della pandemia il tema della Sustainability Finance ha ricevuto ulteriore impulso.
Dopo aver assistito alle turbolenze causate dalla crisi da covid-19, sembra che i mercati si stiano concentrando sui rischi derivanti dal cambiamento climatico. Il lockdown e le sue conseguenze hanno messo a dura prova il sistema economico e finanziario, sottolineando con forza la necessità di ridisegnare l’intero sistema in un’ottica più sostenibile e con lo sguardo verso il futuro. Questo approccio si è riflesso anche sulla politica di investimenti, che vede una sempre maggiore attenzione alla questione climatica. Se sia solo una tendenza o una nuova frontiera solo il tempo potrà dircelo, ma oggi le premesse per una finanza più sostenibile sembrano esserci tutte. Insomma sembra non convenga più investire nelle aziende che non rispettano determinati standard climatici.

La transizione climatica al centro dei portafogli? Questo sarà probabilmente l’anno in cui gli investitori e i finanziatori decideranno di integrare l’analisi della transizione climatica nei loro portafogli. In quest’ultimo periodo, infatti, si è visto che l’investimento in aziende che rispettano i criteri di sostenibilità comporta un minor rischio per gli investitori, in quanto ad esempio i rischi reputazionali e legali di queste aziende si sono rivelati minori. Le notizie extra finanziarie sono oramai considerate fondamentali dai gestori per prendere in considerazione un investimento perché sono il segnale di un modello di business orientato al medio e lungo termine.
La tutela dell’ambiente, l’attenzione al consumo energetico e all’utilizzo dell’acqua sono tematiche su cui sono state fatte numerose campagne di sensibilizzazione, sia da parte delle istituzioni europee che degli stati membri, e molte realtà imprenditoriali, soprattutto quelle impegnate nel campo energetico, vi si sono accostate, attratte anche dalle condizioni favorevoli di mercato.

Lo shock sul mercato petrolifero. Il 2020 ha visto il più grande shock degli ultimi 70 anni sul mercato del petrolio e del gas. Alla fine di luglio, le azioni dell’S&P 500 erano scese del 45% e la Royal Dutch Shell ha tagliato i dividendi per la prima volta dalla seconda guerra mondiale. Il forte calo dei prezzi dell’energia ha accelerato le preoccupazioni per i “patrimoni incagliati” senza valore nei libri contabili delle aziende. Una possibilità teorica è diventata uno scenario plausibile e gli investitori stanno rivalutando i portafogli, soppesando i rischi associati a una transizione climatica.
La strada è chiaramente ancora lunga, ma ci sono stati passi significativi in questa direzione.

La tassonomia per gli investimenti green. Un contributo importante a questo processo lo sta dando la Commissione europea, che in questi ultimi anni ha cercato di creare un’adeguata tassonomia per sostenere gli investimenti cosiddetti “green”.
Ci sono stati anche significativi progressi sui dati e sulle misurazioni, necessari per trasformare i discorsi sul clima in azioni e mobilitare capitali su larga scala. A livello europeo è stato introdotto un “Action Plan” con l’obiettivo di identificare dei chiari di standard di sostenibilità.
I ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali del G20 hanno chiesto al Financial Stability Board (FSB) di esaminare in che modo il settore finanziario può tenere conto delle questioni legate al clima. L’FSB ha quindi istituito la Task Force sull’informativa finanziaria legata al clima (TCFD) per sviluppare raccomandazioni per un’informativa più efficace su questo tema. La Task Force nel 2015 ha stilato un rapporto in cui vengono delineate una serie di raccomandazioni per la diffusione volontaria di comunicazioni rilevanti legate al clima da effettuare nel quadro delle comunicazioni finanziarie ufficiali. Le raccomandazioni dovrebbero aiutare le organizzazioni ad identificare e comunicare le informazioni di cui hanno bisogno gli investitori, i finanziatori e le compagnie di assicurazione per valutare e prezzare correttamente i rischi e le opportunità legati al clima. Oggi, gli standard TCFD sono stati adottati volontariamente da più di 1.000 aziende – tra cui la maggior parte delle istituzioni finanziarie globali – e stanno quindi diventando la norma.
Anche se non c’è ancora una spinta normativa vera e propria, la comunità finanziaria fa sempre più riferimento a questi standard per valutare gli investimenti. Basti pensare che il Canada Pension Plan Investment Board, con i suoi 400 miliardi di dollari, è solo l’ultimo gigantesco istituto a legare i propri investimenti agli standard del TCFD e del Sustainability Accounting Standards Board. E l’investitore attivista Chris Hohn ha dichiarato che il suo fondo farà pressione sui proprietari degli asset per licenziare i gestori di fondi che non insistono sulla trasparenza del clima.

Il ruolo delle banche centrali. Ma i dati da soli non sono una panacea. Misurare e valutare le tendenze a lungo termine e le interazioni tra scienza del clima, politica pubblica, economia e mercati finanziari è un’impresa complessa. In un mondo di catene di fornitura globali interconnesse e di ambienti legali, normativi e operativi che si intersecano, non è facile per i partecipanti al mercato capire il potenziale impatto del cambiamento climatico e le risposte strategiche ad esso.
Per questo motivo le banche centrali hanno deciso di lanciare gli stress test climatici non solo per le banche, ma anche per gli assicuratori e, in alcune giurisdizioni, per i fondi pensione L’idea è di determinare se le imprese sono “pronte alla transizione” verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Tali test dovrebbero contribuire a portare i rischi climatici al centro del processo decisionale finanziario.

La dicotomia riguardo la sostenibilità e la profittabilità è un concetto da sfatare: è possibile per i Paesi migliorare l’inclusione sociale e l’impatto ambientale ed al contempo ottenere buoni profitti sui propri investimenti. La crisi che stiamo vivendo potrebbe rappresentare un punto di svolta per sensibilizzare ulteriormente i vari Paesi nel decidere di investire con maggiore eticità. Si potrebbe addirittura dare spazio a nuove forme di lavoro che garantirebbero non solo una riduzione degli effetti negativi sull’ambiente circostante, ma anche la crescita economica.

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