Man mano che il 3 novembre si avvicina anche la volatilità torna a farsi sentire. Ma attenzione a non lanciarsi all’inseguimento del “market timing” perfetto
Mancano tre settimane alle elezioni presidenziali statunitensi del 3 novembre. Così, dopo mesi in cui l’attenzione del mondo (e dei mercati) è stata completamente assorbita dall’emergenza sanitaria, è lecito interrogarsi su quale America ci restituiranno le urne.
Una corsa al voto più avvincente di House of Cards. Ad oggi però, la partita sembra quanto mai aperta, con diversi colpi di scena che si sono susseguiti nel giro di pochi giorni: la morte della giudice della corte suprema Ruth Bader Ginsburg, il caotico dibattito televisivo – più che altro una rissa verbale – tra i candidati e, infine, la notizia della positività al coronavirus del presidente Donald Trump e di sua moglie Melania. Tutti eventi in grado potenzialmente di far deragliare la campagna elettorale.
Eppure, i sondaggi sembrano stabili nell’indicare il candidato democratico, Joe Biden, come favorito al voto popolare. Questo però, per come è strutturato il sistema elettorale negli Stati Uniti, non è sufficiente per aspettarsi una sua vittoria – ricordiamo che anche Hillary Clinton aveva ottenuto un vantaggio nel numero di voti, ma alla fine Trump ha prevalso grazie ai grandi elettori. La partita, insomma, si gioca in un numero limitato di stati.
Al di là dei numeri, i temi cavalcati dai due candidati nelle rispettive campagne elettorali sono molto diversi: se da un lato il presidente uscente punta su “legge e ordine” e rapporti con la Cina, senza mai mancare di mettere in dubbio l’idoneità del suo avversario al ruolo, Biden basa la sua campagna su politica economica, sanità, giustizia razziale e moralità. Nel dettaglio, il candidato democratico promette un nuovo pacchetto di stimoli fiscali importanti investimenti in infrastrutture e una revisione del Green New Deal.
Settori azionari: vincitori e perdenti. Ma che impatto potrebbe avere il voto (e l’esito elettorale) sui mercati finanziari? Nel breve termine è molto probabile un aumento della volatilità man mano che la data del 3 novembre si avvicina. In particolare, se le chance di una rielezione di Trump dovessero salire, potremmo vedere un temporaneo apprezzamento del dollaro, dovuto a timori di maggiori tensioni commerciali e di una maggior incertezza geopolitica.
Dopo il voto invece, a seconda del vincitore, alcuni settori potrebbero reagire in modo diverso. Big tech, difesa, finanziari ed energia da carbone potrebbero beneficiare di una vittoria di Trump, mentre energie rinnovabili e infrastrutture potrebbero rivelarsi vincenti sotto Biden.
Al netto di un impatto marginale per quanto riguarda i settori vincitori o sfavoriti comunque, è probabile che il voto non influenzi in modo importante i trend generali di mercato – a maggior ragione in un anno particolare come il 2020. Se solitamente i gli investitori guardano alle elezioni Usa come a un momento in cui procedere con cautela infatti, quest’anno la recessione economica innescata dalla pandemia e i livelli senza precedenti di stimoli monetari e fiscali, hanno già determinato uno scenario di massima incertezza.
Market timing? Una strategia pericolosa. Per concludere, una considerazione generale, che prescinde dalla situazione contingente: storicamente, che il presidente in carica vinca o perda, la volatilità indotta dalle elezioni tende ad avere una durata breve e a lasciare rapidamente il posto a mercati in rialzo. La storia mostra che la Borsa ha fatto bene indipendentemente dagli schieramenti politici.
Insomma, le elezioni tradizionalmente non hanno fatto alcuna differenza per i rendimenti degli investimenti a lungo termine. La tendenza degli investitori a stare alla finestra in attesa dell’esito del voto è dunque immotivata – anche perché tentare di azzeccare il market timing perfetto è praticamente impossibile: al contrario, la possibilità di perdersi parte della fase rialzista uscendo dal mercato in modo “strategico” è invece un rischio molto concreto.
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