Alimentazione, food sharing contro lo spreco

Piattaforme online che permettono di scambiare il cibo in eccesso: si chiama food sharing, arriva dalla Germania e consente di regalare pane, pasta, verdure e tutto quello che, ancora in ottimo stato, non sarà consumato. Come farlo, per risparmiare e non sprecare

Sette euro a settimana nella pattumiera. Prevenire lo spreco di cibo con un click. Non solo una questione morale o ecologica: ogni anno, calcola l’ultimo rapporto sullo spreco domestico realizzato da Knowledge for Expo-Waste Watcher, l’osservatorio costituito da Last Minute Market con Swg, ogni famiglia butta nella pattumiera almeno 7 euro tra frutta, verdura, pane e altri cibi andati a male o semplicemente non consumati. Facendo due conti, nel nostro Paese gli sperperi alimentari ammonterebbero a circa 7,8 miliardi di euro l’anno, quasi mezzo punto percentuale di Pil. Gli sprechi cominciano dai campi – dove spesso parte del raccolto è lasciata marcire perché non redditizia sul mercato – e finiscono in tavola: qui le singole famiglie sono responsabili del 42% delle perdite con un costo medio di 350 euro l’anno. Una soluzione? Dopo la diffusione del baratto, arriva il food sharing, letteralmente “condivisione del cibo in eccesso”. 

ifoodshare.org, condivisione solidale. Il primo paese europeo in cui il food sharing ha preso piede è stata la Germania, dove mettere in rete il cibo che non si consuma è un’abitudine consolidata. Qui il sito punto di riferimento per lo scambio degli alimenti è  foodsharing.de, pagina nata nel 2012 che oggi conta decine di migliaia di frequentatori abituali. Dalla Germania l’idea è arrivata in Italia, con quattro intraprendenti siciliani che hanno messo online ifoodshare.org, sito che permette di condividere il cibo con chi ne ha bisogno. Per accedere alla piattaforma bisogna registrarsi. Le offerte sono pubblicate in automatico dal sistema e i potenziali beneficiari (cittadini bisognosi, enti di assistenza, parrocchie e associazioni) possono ritirarle. A differenza di quanto accade in Germania, però, l’iniziativa italiana è destinata solo a persone bisognose. La consegna dei beni è fatta solamente di persona e viene gestita in autonomia tra donatori e beneficiari.

Lo scambio “geolocalizzato” di Scambiacibo.it. Altro esempio di food sharing tricolore è www.scambiacibo.it, sito presentato lo scorso 7 settembre al Salone internazionale del Biologico e del Naturale a Bologna. Nato dall’idea di un gruppo di giovani informatici e con l’aiuto della Coop Adriatica, questa pagina web permette di segnalare la presenza di un alimento in eccesso, di geolocalizzarlo su una mappa e di scambiarlo. Allo scambio possono partecipare privati, aziende e associazioni. Per prima cosa bisogna iscriversi, inserendo dati anagrafici e indirizzo, necessario per la geolocalizzazione. Ricevuti username e password, si accede al proprio profilo: qui andranno inserite le foto degli alimenti avanzati che si vogliono regalare, specificando data di scadenza e i tag che aiutano nella ricerca. Dopo aver postato l’immagine, l’alimento appare geolocalizzato sulla mappa della città, quindi si aspettano le richieste. Tutto avviene senza il passaggio di denaro e senza aspettarsi alcunché in cambio: il principio alla base del funzionamento di scambiacibo.it è il recupero di cibo ancora in ottime condizioni che per un motivo o un altro non andrà consumato

Il food sharing viaggia sugli smartphone. La condivisione del cibo, poi, viaggia anche sugli smartphone. Su Apple store, per esempio, c’è Ratatouille, app gratuita che consente di mettere online il cibo da scambiare (ma volendo anche vendere) con gli altri partecipanti del network. Basta iscriversi e inserire nel proprio frigo virtuale i prodotti che si sa di non poter mangiare prima della scadenza: gli acquisti sbagliati prendono automaticamente la direzione del frigorifero di un altro utente che potrà contraccambiare (o no). La app è geolocalizzata e permette di sapere, in un raggio d’azione deciso dall’utente, quali altri utenti sono presenti e quali sono i prodotti disponibili. Le potenzialità dell’applicazione, comunque, sono più ampie: gli sviluppatori – quattro giovani italiani con meno di trent’anni – puntano all’utilizzo da parte di mense e ristoranti che, grazie alla geolocalizzazione, potranno mettersi in contatto con piccoli produttori locali per l’acquisto dei loro prodotti.

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