Ecco come orientarsi nella scelta del regime patrimoniale: quando conviene unire le forze e quando invece è meglio rimanere indipendenti...
Il matrimonio è un diritto universale. «1) Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento;
2) Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi;
3) La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato (articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948).
Il matrimonio nella Costituzione italiana. «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare» (articolo 29 della Costituzione della Repubblica italiana).
Il matrimonio nel codice civile. Il matrimonio può essere civile o religioso. Non ha una definizione giuridica specifica nel codice civile, ma il suo significato si evince dall’interpretazione della disciplina complessiva relativa ai requisiti della validità del vincolo e agli effetti che scaturiscono da esso. Il matrimonio civile è l’istituto giuridico tramite il quale due persone, di diverso sesso e in possesso dei requisiti richiesti dalla legge italiana, ufficializzano liberamente e volontariamente davanti a un ufficiale dello stato civile (il sindaco o un suo delegato) e alla presenza di due testimoni il loro legame finalizzato alla formazione di una famiglia [fonte: www.studiolegalecotini.it]. Il matrimonio, dunque, indica sia l’atto di celebrazione, sia il rapporto che nasce dall’atto, ed è destinato a perdurare fino alla morte di uno dei coniugi o fino al divorzio [fonte: le garzantine, Corriere della Sera].
La riforma del diritto di famiglia. Le norme del codice civile che riguardano gli oneri morali ed economici dei coniugi sono gli articoli 143-147 del CAPO IV “Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio”; la legge di riferimento, che ha modificato in parte il codice, è la n. 151 del 19 maggio 1975 (“Riforma del diritto di famiglia”).
Separazione o comunione dei beni? Al momento di convolare a nozze, siano esse civili o religiose, gli sposi possono scegliere tra due regimi patrimoniali: la separazione o la comunione dei beni. Se essi non si accordano diversamente, la legge prevede automaticamente la comunione dei beni. Questa scelta, però, può essere modificata dal notaio in qualunque momento della vita matrimoniale. Finita la cerimonia, sia essa civile o religiosa, gli sposi devono comunicare al parroco o all’ufficiale di stato civile il regime patrimoniale prescelto.
La tendenza verso la separazione patrimoniale. Negli ultimi anni, si è manifestata la tendenza, soprattutto tra le coppie giovani, a preferire la separazione dei beni. Dice Carlo Rimini, avvocato e professore di Diritto privato all’Università di Milano, alla Stampa: «Il numero di matrimoni celebrati in regime di separazione dei beni è in costante aumento. Negli ultimi tempi le statistiche indicano una vera e propria fuga dalla comunione. Una delle ragioni è da individuare proprio nel desiderio di reciproca indipendenza che hanno oggi i giovani che si sposano. Tuttavia, fa riflettere il fatto che all’estero i giovani sposi accettino regimi di condivisione delle rispettive fortune in percentuali molto maggiori rispetto a ciò che accade in Italia. Credo quindi che, se in Italia la separazione dei beni è una scelta largamente diffusa, ciò sia dovuto anche alla pessima qualità tecnica delle norme che regolano, nel nostro codice civile, la comunione. Sono norme che pongono infiniti problemi di interpretazione. Molti lo sanno e preferiscono sottrarsi ad un regime patrimoniale che ha effetti talora confusi e incerti».
Ma quali sono le differenze? Ecco quali sono le differenze tra separazione e comunione dei beni [fonte: www.separazione-divorzio.com; www.lemienozze.it]:
– Comunione dei beni: tutti i beni acquistati (insieme o separatamente) dopo le nozze sono di proprietà di entrambi i coniugi. Nel dettaglio, ricadono nel regime di comunione: gli acquisti compiuti dai coniugi dopo il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio; gli utili e gli incrementi di azienda di proprietà di uno solo dei coniugi anteriormente al matrimonio, ma gestita da entrambi; i risparmi dei coniugi. Ricadono in comunione anche i debiti, sia contratti congiuntamente che separatamente, nonché gli oneri che gravano sui singoli beni al momento dell’acquisto (ad esempio un’ipoteca sulla casa). Ne restano, invece, esclusi: beni posseduti da prima delle nozze; eredità o donazioni, anche se avute dopo il matrimonio; beni personali; beni necessari all’esercizio della propria professione; beni ottenuti per risarcimento danni; pensione di invalidità; ricavato della vendita di uno dei beni suddetti.
Lo scioglimento della comunione dei beni si verifica in caso di: morte di uno dei coniugi; annullamento del matrimonio, separazione, divorzio; decisione di entrambi di cambiare regime patrimoniale; fallimento di uno dei coniugi; separazione giudiziale dei beni.
– Separazione dei beni: ciascuno dei due sposi ha la proprietà esclusiva dei beni acquistati sia prima che dopo il matrimonio, anche se questi sono fruiti in comune. Resta fermo l’obbligo di adempiere ai doveri sanciti dagli articoli 143 e 147 del codice civile.
Cosa è meglio scegliere? Ma qual è la scelta più giusta per le coppie che si apprestano a compiere il grande passo? Prosegue il professor Rimini: «La comunione dei beni fa sì che l’acquisto compiuto dal coniuge economicamente più forte divenga comune come sono comuni gli sforzi che lo hanno consentito. Quindi la separazione può essere consigliata alle famiglie in cui i sacrifici dei coniugi per le esigenze familiari sono distribuiti equamente. Se invece i coniugi programmano di organizzare la loro vita in modo che uno dei due si applichi in prevalenza al lavoro casalingo, lasciando l’altro libero di dedicarsi al suo lavoro, allora la comunione è una scelta da valutare con attenzione». Detto in altri termini, se la moglie decide di lavorare a tempo parziale per dedicarsi alla crescita di un bambino, mentre il marito prosegue con la carriera, allora una casa acquistata con i risparmi di lui sarà in realtà il frutto dei sacrifici di entrambi. Quindi, in questo caso, si può valutare la comunione dei beni.
La situazione in Italia. Da un’indagine dell’Istat pubblicata nel maggio 2011 e relativa ai matrimoni in Italia nel 2009, è venuto fuori che, su un totale di 230.613 matrimoni celebrati nel nostro Paese (di cui 85.771 con rito civile), l’incidenza dei matrimoni in regime di separazione dei beni è stata pari al 64,2 per cento, superando la quota di quelli in regime di comunione. Nel dettaglio: il 65,9 per cento dei matrimoni con separazione dei beni si è registrato nel nord-ovest; il 63,2 nel nord-est; il 65,2 al centro; il 64,1 al sud; il 61,4 nelle isole.
Per poter visualizzare i commenti devi accettare i cookie facoltativi, clicca qui per cambiare le tue impostazioni sui cookie.