Abitare in un condominio collaborativo consente di risparmiare fino a 1500 euro l’anno dividendo le spese per beni e servizi. Ecco le storie di chi l’ha già provato.
Secondo le stime degli addetti ai lavori, in Italia ci sono un milione di palazzi condominiali dove vivono 14 milioni di famiglie. Un capitale relazionale enorme, che può essere anche monetizzato. Proprio su questo ha scommesso Community Building Solutions, startup di Trento fondata da tre under 40 che punta a trasformare l’edificio in cui vivono più famiglie in una realtà collaborativa in grado di abbattere le spese comuni. Un modo per risparmiare e riscoprire le relazioni: vediamo come funziona.
Cos’è e quanto si risparmia. Nel condominio collaborativo i vicini di casa condividono oggetti e servizi come la badante o la baby-sitter, il tagliaerba o il wi-fi, o addirittura si organizzano per il car sharing. Il progetto funziona se i condomini considerano lo stabile come una comunità, meglio se valutando anche la possibilità di scambiarsi favori (ad esempio, chi ha tempo la mattina accompagna i bambini del condominio a scuola; chi può si offre per lezioni di ripetizione). Secondo Housing Lab, il risparmio per una famiglia composta da due genitori e due figli è di circa 1.600 euro l’anno.
Come si condivide. Essenziale è mettersi in contatto con gli altri condomini e fare in modo che tutti abbiano visione di servizi, scelte, spese. Per farlo si possono utilizzare i social network, per esempio si può aprire un gruppo su Facebook, o creare un documento condiviso su Google drive. Oppure ci si può rivolgere a chi offre già un sevizio come quello messo a punto da Cbs: una piattaforma online attraverso la quale condividere tutte le informazioni –bollette, spese per servizi alla persona, spese assicurative o acquisto di elettrodomestici – che non prevede costi di attivazione: Cbs guadagna con una percentuale sul risparmio ottenuto dai condomini. Il resto va ad alimentare il fondo annuale, che in un condominio di piccole dimensioni è di circa 500 euro, cifra che aumenta per gli stabili più grandi.
Le esperienze milanesi. A Milano il primo palazzo a sperimentare la collaborazione condominiale è stato, nel 2011, un condominio di via Scarsellini: le 100 famiglie che ci abitano condividono, tra le altre cose, un gruppo di acquisto, la rete wifi, corsi condominiali di pilates e un car sharing. Chi ha aderito al progetto ne parla con entusiasmo: chi fa questa scelta – raccontano i condomini – vuole soprattutto una comunità, ma arriva anche il risparmio. Dal condominio di via Scarsellini hanno preso esempio in molti. A settembre è partita l’esperienza di via Zoia, 90 alloggi gestiti da due coop di abitanti con lavanderie condominiali e un distributore di acqua alla spina, animazione per i bambini e teatro di quartiere. Il palazzo di via Rembrandt 12, invece, ha una biblioteca gestita dagli inquilini nell’ex portineria; in via Crescenzago un gruppo di quattro famiglie ha trovato il terreno per far nascere Base Gaia, un nuovo edificio con spazi comuni per fare corsi o riunioni aperti a tutti, laboratori per il fai-da-te e lavanderia collettiva. Non solo wifi e babysitter quindi: un condominio ben organizzato permette di risparmiare sull’uso dell’auto per piccoli spostamenti, sulla lavatrice, sulla palestra, sull’affitto di sale per le feste, e persino sull’intrattenimento e sulla formazione. Oltre alle esperienze di Milano e di Trento, approcci simili si diffondono anche nel resto d’Italia: nel progetto di cohousing San Lazzaro a Bologna, nella gestione degli spazi riqualificati in collaborazione con Legambiente a Torino e nell’amministrazione della residenza per anziani Regina Margherita di Roma.
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