Mentre la Fed pensa di rialzare i tassi, la Bce proseguirà con una politica monetaria espansiva. Un euro più debole sul dollaro potrebbe rafforzare le esportazioni, fornendo un sostegno aggiuntivo a una crescita europea ancora trascinata dai consumi. Un contesto da sfruttare per fare ulteriori passi avanti sul fronte delle riforme.
Dopo un’estate caratterizzata dall’incertezza, dapprima sugli sviluppi della saga greca e poi sull’entità del rallentamento dell’economia cinese, la ripresa autunnale ha proposto un quadro macroeconomico articolato. Nonostante l’insicurezza sul rallentamento cinese e sulle sue conseguenze sull’area dei paesi emergenti non sia evaporata, l’economia dell’area euro e quella americana hanno continuato a crescere, sia pur a tassi moderati. Se però nel caso americano la fase di crescita, già in atto da inizio 2010, ha creato condizioni assimilabili alla piena occupazione, lo stesso non avviene ancora nell’area euro, dove il tasso di disoccupazione, al 10.8% in agosto, rimane al di sopra dei livelli pre-crisi.
USA ed Europa alla prova della politica monetaria. Il diverso stato di avanzamento del ciclo economico nelle due aree fa sì che ci si avvicini al momento in cui le politiche monetarie divergeranno. Da un lato la Banca Centrale Europea, denunciando rischi al ribasso per gli obiettivi di inflazione, ha chiaramente fatto intendere di essere pronta ad accentuare il proprio atteggiamento espansivo, ventilando la possibilità di ritoccare al ribasso i tassi sui depositi detenuti dalle banche europee presso la stessa BCE. Dall’altro la Federal Reserve, la banca centrale americana, dopo prolungati tentennamenti, sembra pronta ad alzare i tassi di rifinanziamento dell’economia già a dicembre, dopo averli tenuti vicini allo zero per quasi 7 anni. L’aspettativa di una divergenza dei tassi di interesse di breve termine americani rispetto a quelli europei si sta traducendo in una preferenza dell’euro sul dollaro, fatto certamente gradito a Francoforte e nelle capitali europee.
I consumi il motore crescita, ma un euro più debole potrebbe aiutare?. Un ulteriore deprezzamento dell’euro aiuterebbe probabilmente a compensare il rallentamento della domanda di esportazioni europee proveniente dalla Cina e dai paesi emergenti, collegato al calo prolungato dei prezzi delle materie prime e in primis del barile di petrolio. D’altra parte, il calo dei prezzi delle materie prime, mantenendo l’inflazione prossima allo zero in tutto l’Occidente, ha contribuito, e contribuisce tuttora, a restituire potere d’acquisto ai consumatori, con un impatto positivo sui consumi delle famiglie. Non è quindi un caso se i consumi siano stati sino ad ora l’elemento trascinante della crescita economica nell’eurozona, Italia compresa.
I rischi per l’economia europea non vengono solo da fuori. La ripresa economica europea è comunque ancora modesta e, anche se gli indicatori di fiducia di imprese e consumatori sembrano indicare una sua prosecuzione, i rischi di sorprese negative non mancano. Per una volta, questi riguardano soprattutto la prima economia dell’area euro, quella tedesca. L’incertezza sull’impatto finale dello scandalo emissioni che ha coinvolto il gruppo Volkswagen è ancora molto elevata, e non sarebbe sorprendente se, a posteriori, si scoprisse che è costato qualche decimale di crescita alla locomotiva tedesca.
Crescita ancora sbilanciata per l’Italia. L’economia italiana, uscita dalla recessione a inizio anno, sembra avviata su un timido sentiero di crescita, trainata per il momento da consumi delle famiglie e accumulazione di scorte. Il recupero dell’occupazione, iniziato ormai un anno fa, è stato sinora favorito dall’implementazione della riforma del mercato del lavoro (il cosiddetto Jobs Act) e, probabilmente in misura maggiore, dall’introduzione nella scorsa legge di bilancio di incentivi fiscali molto favorevoli per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Da inizio anno, l’occupazione è cresciuta a un tasso tendenziale medio dello 0,9%, risultato non disprezzabile se teniamo conto anche del riassorbimento dell’ampio ricorso alla cassa integrazione e della lenta ripresa dell’attività manifatturiera. Il recupero degli investimenti fissi lordi, ancora in uno stadio embrionale, è probabilmente frenato da un lato dall’incertezza degli imprenditori sulla natura della ripresa, dall’altro dall’elevato livello delle sofferenze bancarie, che non hanno ancora smesso di aumentare e che pesano ancora sui bilanci degli istituti di credito.
Una finestra ancora aperta per le riforme. La finestra di opportunità offerta dalla politica monetaria espansiva della Banca Centrale Europea resterà verosimilmente aperta almeno per il prossimo anno e va sfruttata appieno. Il governo, con la conferma di un’agenda ambiziosa sul fronte delle riforme, sembra averlo almeno in parte capito. Le riforme restano fondamentali per aumentare il potenziale di crescita dell’economia, elemento irrinunciabile per quei paesi che, come l’Italia, sono gravati da un alto debito pubblico. L’accento sulle riforme, di per sé meritorio, consente inoltre di sfruttare quei margini di flessibilità sul fronte dell’aggiustamento fiscale che la nuova governance europea ha introdotto a inizio 2015. La bozza della legge di stabilità attualmente in discussione in parlamento cerca di sfruttarli integralmente, per finanziare temporaneamente un taglio delle tasse sugli immobili che, pur non piacendo a Bruxelles, piacerà di più ai proprietari di prime case. Lo scopo, abbastanza evidente, è di cavalcare l’onda della ripresa dei consumi, rafforzandola attraverso il canale della fiducia. Non c’è da illudersi, tuttavia. L’attivazione delle clausole di salvaguardia e dei relativi aumenti di IVA è solo rinviata di un anno. Per evitarla nuovamente occorrerà mettere mano più seriamente ai tagli delle spese, il vero punto debole della manovra di quest’anno.
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