5 modi per finanziare una startup

Dal crowdfunding al venture capital passando per le collette organizzate con parenti e amici: ecco come procurarsi i capitali che servono alle imprese alle prime armi.

Secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, una startup è “la fase iniziale di avvio delle attività di una nuova impresa, di un’impresa appena costituita o di un’impresa che si è appena quotata in borsa”. Si tratta, in pratica, di un’impresa alle prime armi che, proprio per questa sua condizione, ha bisogno di fondi con cui finanziarsi. Proprio le startup sono al centro di ING Challenge, tour organizzato da ING Bank e H-Farm, realizzato all’interno dei principali atenei italiani con l’obiettivo di coinvolgere gli studenti in un percorso dedicato all’imprenditoria digitale. Dopo un incontro dedicato alle opportunità dei big data, svoltasi all’Università Cà Foscari di Venezia,  prossima tappa del tour si terrà il 28 ottobre all’Università di Firenze. Si parlerà di opportunità della rivoluzione digitale nel turismo dal punto di vista di consumatori e delle aziende del settore.
Secondo l’ultimo rapporto del ministero dello Sviluppo economico, a fine dicembre 2014 le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese erano 3.179, in aumento del 20% rispetto a settembre 2014, e impiegavano oltre 15.000 lavoratori, 2.000 in più rispetto al trimestre precedente. Numeri in crescita che presuppongono la presenza di un business plan preciso e di capitali da investire: ecco in che modo le startup possono finanziarsi.

1. Crowdfunding. Da “crowd”, folla, e “funding”, raccolta fondi, il crowdfunding è uno degli strumenti più utilizzati per raccogliere capitali e consiste in un finanziamento dal basso, che avviene attraverso la piattaforma online cui si affida il proprio progetto. Il funzionamento è molto semplice: gli startupper presentano alla piattaforma il loro business plan, stabiliscono la cifra da raccogliere e fissano la data di scadenza. Se, entro il termine stabilito, la quota non è raggiunta, i fondi vengono restituiti ai donatori (in questo caso di parla di sistema “all or nothing”). Altre piattaforme, invece, permettono agli startupper di utilizzare comunque i fondi accumulati (sistema “keep it all”). Gli investitori possono essere ripagati con un premio (che può essere un prodotto, un invito, un ringraziamento ecc.) oppure con la cessione di una parte della proprietà del progetto in modo proporzionale al capitale investito. Tra i siti di crowdfunding più utilizzati ci sono kickstarter, indiegogo e fundable.

2. Business angel. Investitori informali, i business angel (o “angel investor”) sono piccoli o medi investitori, manager o ex manager con buona capacità imprenditoriale che investono discrete somme di denaro (in Italia, di solito, dai 30 ai 50 mila euro) nelle operazioni il cui business plan più li convince. L’investimento in nuove imprese, ovviamente, non è solo economico: i business angel partecipano all’attività con consigli gestionali e amministrativi e offrono la loro rete di conoscenze per trovare ulteriori finanziamenti. Si parla di business angel perché gli investimenti non presuppongono un ritorno nel breve periodo. Il vantaggio di essere supportato da un angel investor non è soltanto economico: i consigli, le relazioni e le competenze messe a disposizione degli startupper  valgono quanto il denaro. Gli angel investor italiani sono riuniti nell’Associazione investitori informali in rete.

3. Venture capital. L’Aifi, Associazione del private equity e venture capital, definisce il “venture capital” come “l’attività di investimento in capitale di rischio realizzata da operatori professionali e finalizzata alla realizzazione di operazioni di earlystage ed expansion”. In pratica, il venture capital è il capitale messo a disposizione da un investitore per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori a elevato potenziale di sviluppo e di rischio. Le società in cui i fondi di venture capital investono, cioè, hanno un grande rischio operativo (non si sa, cioè, se avranno mercato), e finanziario (l’investitore non sa se avrà modo di recuperare il capitale investito) e per questo non ricevono soldi dai tradizionali intermediari finanziari. In cambio dei loro finanziamenti, i venture capitalist chiedono alla startup quote di proprietà.

4. Partner commerciali. Per dividere i costi di avvio e di gestione della startup ci si può rivolgere a partner commerciali che, per esempio, operano nello stesso campo, hanno un business plan simile e condividono gli stessi obiettivi professionali. La ricerca dei soci è sempre un’operazione molto delicata: i partner finanziari, infatti, avranno un peso sulla direzione del business e sull’orientamento della società. Per questo motivo è opportuno stringere accordi che stabiliscano come comportarsi nel caso ci fossero problemi relazionali o incomprensioni.

5. Love capital. Letteralmente “capitale dell’amore”, il “love capital” è il gruzzoletto necessario all’avvio di un’impresa raccolto attraverso parenti e amici. Secondo una ricerca dell’Università di Bologna e di Aster, consorzio regionale per l’innovazione e la ricerca industriale, in Italia 9 startup su 10 nascono proprio con i soldi della famiglia, che copre la quasi totalità delle spese. Prima di rivolgersi ai propri congiunti ovviamente occorre assicurarsi che non si stanno prendendo in prestito soldi di cui il finanziatore non può fare a meno.

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