Negli Stati Uniti non è più garantita, l’Unione è rimasta l’ultimo baluardo per difenderla. Tra le possibili conseguenze concorrenza sleale e sovrapprezzi per gli utenti
Negli ultimi mesi avrete letto diversi titoli sull’abolizione della neutralità della rete Internet da parte della Federal Communications Commission americana. Anche se sembra un semplice cavillo tra il legale e il tecnico, per altro deciso negli Stati Uniti, nei prossimi anni questa decisione potrebbe cambiare le abitudini e i costi della presenza sul Web di tutti noi. Per capire perché quel voto sia così importante, e cosa c’è in ballo, le parole migliori dalle quali partire sono quelle scelte de Tim Berners-Lee, il co-fondatore del Web. «Il gas è una fornitura, come l’acqua pulita e anche la connettività. È parte della nostra vita e non dovrebbe avere un’impostazione a monte su come viene usato». Insomma, la fine della neutralità della rete equivale a un fornitore del gas che decide per cosa possiamo adoperarlo (per esempio, fare la doccia calda) e per cosa non possiamo adoperarlo (cucinare).
La rete è uguale per tutti? In America no. La neutralità della rete prevedeva che il suo uso fosse paritario per tutti e impediva che i fornitori di connettività potessero discriminare certi servizi a discapito di altri, per motivi economici, commerciali, politici o di semplice competizione. E non si trattava solo di un rischio teorico: anni fa il fornitore di Internet AT&T bloccò l’uso di Skype sugli iPhone perché non gradiva quel tipo di concorrenza. Queste strategie erano diventate illegali, ma con questo nuovo voto della FCC possono essere per la prima volta adottate liberamente e senza freni. La velocità dell’autostrada del Web negli USA non è più neutrale, ma può essere dosata da chi la offre sul mercato, a seconda delle proprie strategie commerciali. Per esempio, i fornitori di Internet possono da questo momento offrire un modello «pay-per-play»: l’utente paga per avere accesso in banda larga a un pacchetto di siti base (per esempio i social network e i motori di ricerca) e sugli altri può andare solo pagando un supplemento di connessione (per esempio Netflix o Spotify). Al momento non è ancora chiaro come concretamente si comporteranno sul mercato tutti i soggetti interessati. Una variante del modello pay-per-play è che siano i siti più frequentati (Spotify, Netflix, Amazon, eccetera) a pagare per i costi in più sostenuti dagli utenti, ma con due conseguenze. Uno: nel lungo termine aumenterebbero i costi di abbonamento queste piattaforme. Due: solo i più grandi potrebbero in questo modo competere, mentre i servizi piccoli, di nicchia o emergenti non ce la farebbero.
Europa, ultimo baluardo di uguaglianza sul Web. Lo scenario raccontato riguarda il mercato americano. Ma cosa cambia per l’uso di Internet in Europa? La buona notizia è che esiste una normativa che tutela la neutralità della rete, quindi nessuno può mettere un sovrapprezzo di connessione per accedere a Netflix o Facebook. Quella preoccupante è che siamo rimasti gli unici al mondo a garantirla. Dopo la decisione americana potrebbero esserci pressioni anche da noi per cambiare questi regolamenti. Al momento però sono in vigore e garantiscono un equo accesso alla rete per tutti: l’Open Internet Regulation in Europa risale al 2015, proibisce le discriminazioni e impone anche trasparenza agli Internet Provider sulla banda che forniscono agli utenti. Nel 2018 dovrebbero essere definiti degli strumenti per permettere a ciascuno di voi di misurare se state ricevendo tutta la banda per cui avete pagato. È un diritto che avete e che è stato sancito dall’Unione Europea.
Le eccezioni: auto senza pilota, tele-medicina e zero rating. Nel regolamento europeo però ci sono delle eccezioni. La prima riguarda i casi in cui è consentito «fare distinzioni» e dare più banda a determinati servizi, che hanno bisogno di connettività elevatissima per funzionare, come per esempio le auto senza pilota o i servizi di telemedicina. Un’altra eccezione è lo «zero rating». È una pratica sempre più usata dai fornitori di telefonia mobile, che come strategia commerciale non scalano, e quindi non fanno pagare agli utenti, i dati verso determinate applicazioni (per esempio, le offerte che non vi scalano i dati dal telefono per l’ascolto della musica) con le quali hanno partnership commerciali. Le normative attuali consentono lo zero rating ma solo in un numero limitato di casi. Per alcuni è un buon compromesso: le telecom possono modificare le condizioni di accesso alla rete ma solo per farvi sconti e per non chiedervi sovrapprezzi. Per altri invece è già di fatto un varco che mina la neutralità della rete in Europa e nel lungo termine apre a scenari come quello americano.
Cosa aspettarsi per il futuro. La vera domanda però è cosa succederà in Europa nel 2018, un anno nel quale arriva anche la connessione a 5G e nel quale le aziende di telecomunicazioni potrebbero essere tentate di fare lobbying per far saltare le regole attuali. Alcuni esperti temono che il nuovo modello americano possa prendere piede anche da noi. Ne ha per esempio parlato all’agenzia AGI il commissario di AgCom, Antonio Nicita. «Ora che gli Stati Uniti tornano indietro, c’è il rischio che gli avversari della net neutrality tornino alla carica formulando l’argomento che in questo momento sulla net neutrality siamo rimasti solo noi europei». La buona notizia è che Regno Unito e Francia hanno appena ribadito in una dichiarazione congiunta «impegno e supporto alla neutralità della rete». C’è tanto in ballo: non solo un aumento dei costi di connessione per gli utenti Web europei, ma anche la capacità del mercato di innovare e proporre servizi nuovi. In un Internet uguale per tutti, sono nati e cresciuti siti come Facebook, Twitter, Amazon, Netflix e Spotify. Ora sono forti, potrebbero reggere l’impatto e anche compensare (come forse faranno in America) i costi di connessione in più sostenuti dagli utenti. Ma le startup, i Facebook e i Netflix del futuro, in un Web senza neutralità non riuscirebbero mai a emergere e a competere, l’innovazione avrebbe un tappo e tante buone idee in grado di cambiarci la vita non avrebbero mai successo. «Sono ancora un ottimista», ha scritto di recente Tim Berners-Lee, «Ma un ottimista in cima a una collina in mezzo a una brutta tempesta».
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