Sembrava una rivoluzione fallita, invece Intel, Google, Apple e Samsung viaggiano tutte in quella direzione
Sono spariti dalle cronache tecnologiche e sono finiti ai margini delle grandi fiere dell’elettronica di consumo, ma la ricerca e lo sviluppo delle grandi aziende sugli smart glasses non si è mai del tutto interrotta. L’ultimo gadget a incuriosire cronisti e appassionati si chiama Vaunt, è stato prodotto da Intel e presentato in anteprima sul The Verge. La rivoluzione degli smart glasses è effettivamente andata a rilento, a differenza di quanto previsto qualche anno fa non incontriamo in metropolitana o sul treno persone che indossano gli occhiali intelligenti come in un film di fantascienza, ma il mercato è in continua crescita. Nel 2017, il valore totale degli smart glasses venduti era intorno ai 340 milioni di dollari (secondo i dati ReportLinker), con un’incredibile proiezione di crescita del 125% anno su anno fino al 2022, quando potrebbero costituire un mercato di 20 miliardi di dollari.
Il secondo atto dei Google Glasses. Partiamo proprio dai Google Glasses: dovevano essere gli alfieri della rivoluzione, sono finiti addirittura in un Museo del fallimento in Svezia, insieme al ketchup verde, alle patatine senza grassi e alla lasagna Colgate. Paradossalmente, poche settimane dopo quel doloroso annuncio, nel luglio della scorsa estate Google ha diffuso il primo aggiornamento di software degli ultimi quattro anni. Al di là delle modifiche (ora supportano il Bluetooth, qualche bug è stato risolto, l’app MyGlass stata modernizzata), Google voleva lanciare un segnale: gli occhiali sono ancora vivi. Non sono mai diventati un prodotto per consumatori, ma hanno sempre più applicazioni, dalle aziende che producono macchine agricole alla Boeing passando per gli studi dentistici, in quello che Wired ha definito: «Il clamoroso secondo atto dei Google Glasses».
Il paradosso del cyborg. È tutto il mercato degli occhiali smart a vivere una rinascita, principalmente grazie alle applicazioni nel settore della produzione industriale. Secondo un rapporto Forrester entro il 2025 saranno 14,4 milioni i lavoratori americani che useranno un qualche tipo di occhiali smart durante i processi produttivi. Il principale problema commerciale dei Google Glasses (e di tutti i suoi concorrenti) è sempre stato racchiuso in una sola parola: «glasshole», crasi tra «glass» e il dispregiativo «asshole». Indossare vistosi occhiali ipertecnologici in pubblico sembrando «cyborg fissati con la tecnologia» è una barriera che le persone non sono ancora pronte a superare e che finora ha precluso la nascita di un mercato di massa per gli occhiali intelligenti.
Hi-tech con discrezione. La nuova creatura Intel, Vaunt, sembra nascere proprio per risolvere questo problema. Nella prova effettuata dal sito di tecnologia The Verge il primo dettaglio che emerge è questo: la loro discrezione. «Intel sembra sulla buona strada per risolvere il paradosso del “Glasshole”: come spingere i consumatori a indossare i wearable senza sembrare il brutto cliché di chi indossa i wearable». L’obiettivo di Intel è opposto a quello di Google: «Invece di spingere le persone ad adattarsi agli smart glasses, vogliono adattare gli smart glasses alla vita delle persone». Sono molto leggeri, pesano circa cinquanta grammi, trasmettono informazioni agli occhi usando un proiettore e uno specchio, sono progettati per farlo nell’angolo basso della lente, con il vantaggio che se non si guarda in quella direzione non si vede niente. Non c’è una camera montata sopra (come nei Google Glasses) e le informazioni possono essere aperte, spostate e chiuse con leggeri movimenti del capo. I Vaunt per ora saranno disponibili a una platea di sviluppatori entro la fine di quest’anno, ma l’obiettivo è far arrivare Vaunt sul mercato consumer.
La rincorsa di Apple e Samsung. E gli altri? Nella prospettiva di un mercato da 20 miliardi di dollari, tutti i grandi produttori di tecnologia stanno lavorando a brevetti e ricerche per sviluppare i propri smart glasses. Tim Cook aveva detto che «non esiste ancora la tecnologia per il livello di qualità necessario a un prodotto Apple». L’azienda di Cupertino ha però appena depositato un brevetto per degli occhiali molto più leggeri e comodi degli attuali dispositivi per la realtà virtuale e aumentata (come HoloLens di Microsoft o Oculus di Facebook), basati su un sistema catadiottrico (lo stesso di telescopi, microscopi e teleobiettivi), insomma la via di mezzo tra smart glasses e un headset per la VR. Per arrivare a un prodotto da portare sul mercato la strada è ancora decisamente lunga, ma la direzione è segnata. Samsung per ora ha risposto registrando un logo per occhiali smart, con questa descrizione: «computer software for analyzing and configuring vision-assisting eyewear». Insomma, software per occhiali. Anche in questo caso, tanti indizi, una sola certezza: la rivoluzione degli smart glasses è andata a rilento ma non si è mai fermata.
Come vi sentireste ad andare in giro un paio di occhiali smart? Vi attira l’idea?
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