I PIR sono stati protagonisti del mondo del risparmio gestito nel 2017 e continuano a registrare ottime performance anche quest'anno. Andiamo a scoprire tutti i vantaggi fiscali e i vincoli offerti da questi strumenti
Con una raccolta netta di quasi 11 miliardi di euro nel loro primo anno di vita, i Piani Individuali di Risparmio hanno superato le più rosee previsioni (complice anche l’ottimo andamento di Borsa Italiana nel 2017), conquistando a pieno titolo un ruolo di primo piano nel mondo del risparmio gestito in Italia. E il loro successo non sembra destinato a tramontare tanto presto. Stando alle stime di Intermonte Sim, questi strumenti, introdotti con la Legge di Stabilità del 2017, potrebbero arrivare a raccogliere oltre 60 miliardi di euro entro il 2021.
Cosa sono i PIR? Un rapido ripasso. I PIR sono contenitori fiscali: diversi strumenti possono essere conformi alla normativa PIR, dai fondi comuni alle SICAV, dalle gestioni patrimoniali alle polizze. Sono però riservati alle persone fisiche e, quindi, non possono averli le persone giuridiche (le società).
I vantaggi fiscali. Un solido punto a favore dei PIR, quello che più di tutti attrae i risparmiatori del Belpaese, è costituito sicuramente dai vantaggi fiscali. A patto che vengano rispettate alcune condizioni, i PIR concedono infatti l’esenzione totale dalle imposte sui redditi generati dall’investimento (e dalla tassa di successione, nel malaugurato caso di decesso del sottoscrittore).
Le condizioni da rispettare. Per beneficiare dell’agevolazione fiscale, però, il PIR deve rispettare alcuni vincoli:
- l’investimento deve durare almeno 5 anni;
- occorre investire almeno il 70% in azioni oppure in obbligazioni di aziende italiane quotate (o europee con “stabile organizzazione” in Italia);
- il 30% di quel 70% – ovvero il 21% dell’investimento complessivo – deve essere composto da titoli di società non presenti nell’indice di Borsa Italiana Ftse MIB, in modo da far affluire il denaro su aziende anche medio-piccole, per esempio quelle quotate sull’AIM;
- non è possibile investire più di 30mila euro all’anno nei PIR, e si può arrivare a investire un massimo di 150mila euro in totale, in più anni di investimenti.
Educazione finanziaria. È interessante notare come i PIR abbiano anche una funzione educativa positiva nei confronti dei risparmiatori italiani: il vincolo che impone di mantenere l’investimento per almeno cinque anni obbliga infatti l’investitore a ragionare su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, qualcosa a cui tendenzialmente nel nostro Paese non siamo abituati.
I rischi dei PIR. Quanto ai rischi (che non mancano mai, anche quando si decide di lasciare i risparmi sotto al materasso), segnaliamo di seguito i principali.
- Proprio per i vincoli previsti, i PIR sono un concentrato di rischio Italia.
- Presentano un elevato rischio di liquidità, per quel 21% di titoli non presenti nell’indice Ftse MIB (e questo vale sia per le azioni sia per le obbligazioni).
- La percentuale complessiva di azioni e obbligazioni può variare a seconda dei casi, quindi attenzione, occorre capire che cosa c’è all’interno del PIR, dato che non saranno tutti uguali.
Focus sui costi. Venendo infine alla voce “costi”, vale la pena di sottolineare che le commissioni dei PIR sono eterogenee, ma mediamente alte. Un recente report del CNCDEC, il Consiglio Nazionale Commercialisti ed Esperti Contabili, calcola un valore medio della commissione di gestione dell’1,5%, che sale all’1,6% considerando anche le spese correnti, mentre le commissioni di ingresso si attestano in media intorno al 2,5%. Occhio poi alle commissioni di performance, che si applicano solo nel caso in cui l’investimento vada bene e che quindi sono pensate per remunerare il gestore. Il loro costo è pari in media al 10-20% dell’extrarendimento rispetto al benchmark, stima il report. Per evitare spiacevoli sorprese un modo c’è: leggere con estrema attenzione i documenti informativi dei PIR, sui quali tutte queste informazioni sono riportate.
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