Investireste più facilmente in un fondo che conoscete piuttosto che in uno che vi è sconosciuto? Se la risposta è "sì"fate attenzione: potreste essere vittima del "familiarity bias"
Proseguiamo il nostro viaggio nella savana dei bias, ovvero i pregiudizi che possono rendere influenzare negativamente tutte le nostre scelte, comprese naturalmente quelle d’investimento: uno di questi è il “bias della familiarità”. In pratica, esso agisce quando, tra un’opzione A e un’opzione B, non scegliamo quella effettivamente più adatta a noi ma quella che conosciamo meglio. Preferiamo, in sostanza, quello che ci è più familiare. Esempio. Serve un mutuo per la casa: quanti di voi sono in grado di valutare il ventaglio di offerte senza lasciarsi condizionare dal fatto che alcune le propone la banca di fiducia mentre le altre arrivano da istituti diversi? Non molti, ed è una cosa abbastanza comune. Il senso di familiarità potrebbe farci sembrare una certa scelta meno costosa o meno rischiosa, anche se in realtà non è così. Non solo: la familiarità può contribuire a generare altri problemi d’investimento, come l’assenza di diversificazione.
“Io ti conosco”: lo studio di Heath e Tversky. Nel 1991, Chip Heath, diventato poi co-autore del bestseller di teoria delle idee “Made to Stick”, e Amos Tversky, il collaboratore di lunga data del premio Nobel Daniel Kahneman, pubblicarono un autorevole articolo sul Journal of Risk and Uncertainty a proposito di quella che loro chiamavano “l’ipotesi della competenza”. Gli accademici della Stanford University si chiesero se sentirsi esperti in un determinato ambito, avendo molta familiarità con un certo argomento, influenzasse oppure no il processo decisionale. Scrissero quindi che, se da una parte il “paradosso di Ellsberg” suggeriva che le persone evitano di scommettere su prospettive ambigue, dall’altra, con una serie di esperimenti, avevano scoperto che quando le persone si sentono esperte in un determinato dominio, per loro in realtà vale il contrario.
Familiarità non significa la sicurezza. Il duo di studiosi proseguì sostenendo che questa tendenza potrebbe spiegare perché i manager a volte si assumano dei rischi senza considerarli veramente tali. Inoltre, questo potrebbe spiegare anche perché alcuni investitori tendono a essere poco diversificati. Se le persone hanno familiarità con un certo settore perché vi lavorano quotidianamente, può esserci la tendenza a percepirsi padroni e competenti in quell’ambito e a destinargli una grande quota di investimenti. Il pericolo è che se il settore subisce una frenata, costoro saranno doppiamente esposti: con un posto di lavoro e con investimenti. Basti pensare al boom e al successivo sboom delle dotcom, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.
Nessun posto è come casa propria. Un ulteriore risvolto del bias di familiarità e del suo impatto sulle scelte di investimento riguarda il luogo in cui viviamo. Un po’ come l’“home bias” dei tifosi delle squadre sportive (tifo non per la squadra migliore, ma per la squadra di casa), alcuni investitori mostrano la tendenza ad acquistare i titoli azionari emessi da società del loro Paese d’origine, piuttosto che distribuire il rischio secondo una più vasta gamma di aree geografiche. Si parla spesso di come il rischio possa potenzialmente aumentare sovrainvestendo in un determinato settore: ecco, lo stesso vale per l’eccessivo investimento in una determinata area geografica.
Come sfuggire alla trappola. Per evitare di cadere nella trappola del bias di familiarità la prima regola è mettere al primo posto il rischio e il rendimento attesi, insieme con altri fattori rilevanti, per ciascun investimento che si va a valutare. Mettendo così da parte tutte le rassicurazioni che ci può suscitare il fatto che conosciamo già il prodotto, la società che lo emette o quella che ce lo presenta. Ok, ma come si fa? Seguiamo il suggerimento del sito eZonomics, che è quello di basarsi su standard generalmente accettati. Per esempio, confrontando un investimento con l’indice di riferimento comunemente utilizzato, per vedere quanto si discosta. Una buona idea, poi, è quella di tenere d’occhio le commissioni: se sono molto più corpose rispetto a quelle proposte altrove, allora è proprio il caso di chiedervi se la vostra familiarità con il tipo di prodotto o con l’azienda sta danneggiando le vostre finanze.
Per poter visualizzare i commenti devi accettare i cookie facoltativi, clicca qui per cambiare le tue impostazioni sui cookie.