Il tema era l'egemonia di colossi come Amazon e Apple nell'economia attuale, ma alla fine una delle questioni più discusse al recente simposio di Jackson Hole è stata la linea da tenere sui tassi di interesse, dopo le recenti aspre critiche del presidente USA
Ci sarebbero tante cose da dire sul Wyoming, che secondo la definizione di Wikipedia è uno “Stato degli USA dal“notevole patrimonio paesaggistico e naturale che ospita infatti anche il Parco di Yellowstone. Per ora ci limitiamo a raccontare di quello che in questa prestigiosa cornice si svolge ogni anno, da decenni, ovvero il simposio organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City nella località di Jackson Hole. Un simposio al quale sono invitati i più importanti banchieri centrali del mondo, oltre a un selezionatissimo numero di partecipanti ed esperti, e che quest’anno si è svolto venerdì 24 e sabato 25 agosto. Il tema era “Changing Market Structure and Implications for Monetary Policy”. In pratica, si è discusso principalmente dell’impatto sull’economia dei nuovi colossi come Amazon e Apple, ma non solo.
La Fed tira dritto (con buona pace di Trump). Cominciamo col dire che l’edizione di quest’anno è stata la prima officiata da Jerome Powell, subentrato nella presidenza della Federal Reserve a Janet Yellen i primi di febbraio. L’evoluzione dei tassi di interesse negli Stati Uniti e le pressioni del presidente Donald Trump, che ha rimproverato a Powell di non essere abbastanza “accomodante”, sono stati all’attenzione del summit e hanno suscitato un vivace dibattito. Trump vorrebbe, in sostanza, che la Fed ci andasse piano con l’aumento dei tassi (possibilmente evitandolo) e mantenesse un atteggiamento monetario di sostegno all’economia, per evitare un eccessivo apprezzamento del dollaro e supportare quindi la competitività degli USA nel mondo. Da parte loro, i funzionari della Fed hanno ribadito l’impegno a restare nel solco che ritengono migliore per gli Stati Uniti, con buona pace della Casa Bianca: Powell ha infatti dato forza alle attese di un ulteriore rialzo a settembre, con un altro possibile intervento a dicembre.
La posizione di Powell. Un dibattito squisitamente circoscritto agli Stati Uniti ma che ovviamente, nello scenario del mercato globale, non potrà di qui in avanti essere ignorato al di fuori degli States. Gli altri banchieri centrali lo sanno bene, nonostante quest’anno il simposio abbia registrato l’assenza del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi e del numero uno della Bank of Japan Haruhiko Kuroda. L’intervento di Powell, intitolato “Monetary Policy in a Changing Economy”, era febbrilmente atteso. E quali sono state le sue dichiarazioni? “Ci sono buone ragioni per credere che l’economia statunitense continuerà a essere forte”, quindi “ulteriori graduali aumenti dei tassi di interesse sono appropriati”, ha ribadito il presidente della Fed. “Se la forte crescita del reddito e dei posti di lavoro continua, è probabile che si proceda a ulteriori aumenti graduali”.
”Tutto ciò che occorre” per evitare l’aumento dei prezzi. Insomma, Powell ha difeso la strategia della Fed insistendo sul fatto che “con una solida fiducia delle famiglie e delle imprese, livelli salutari di creazione di posti di lavoro, l’aumento dei redditi e stimoli fiscali in arrivo, ci sono buone ragioni per aspettarsi che questa forte performance continui”. E anche se non mancano “fattori di rischio esterni e interni che potrebbero nel tempo richiedere una diversa risposta, ad oggi non ci sono segnali che portino a un cambio di passo”. Al contempo, non ci sono segnali chiari di un’accelerazione dell’inflazione oltre l’obiettivo Fed del 2%, ma, ha assicurato Powell, faremo “tutto quello che occorre” (“whatever it takes”) per evitare la minaccia dell’aumento dei prezzi. Una formula identica, come hanno fatto notare molti organi di informazione e analisi, a quella che il presidente Draghi usò nel luglio del 2012 per assicurare che la BCE avrebbe fatto tutto il necessario per salvare la moneta unica.
Google & co, concentrazione nemica del lavoro. Ma dicevamo: come riporta anche Bloomberg, la conferenza di quest’anno si è concentrata sul potere dei nuovi colossi del mercato come Amazon, Apple e Google. Diversi economisti si sono detti scettici sul fatto che la concentrazione abbia eroso in maniera significativa la concorrenza, mentre altri hanno espresso viva preoccupazione. “La domanda è se queste ‘superstar’ trasferiranno i loro benefici ai consumatori”, ha dichiarato Raghuram Rajan, ex governatore della Reserve Bank of India. Finora, ha aggiunto, così sembra in molti casi, ma durerà? L’economista di Princeton Alan Krueger ha sottolineato come la concentrazione stia riducendo le possibilità di occupazione per i lavoratori e aumentando invece la forza contrattuale dei datori di lavoro nel fissare i salari.
Nuovi massimi per l’S&P500. Il simposio di Jackson Hole, in genere molto seguito dagli operatori e dagli investitori per le implicazioni che i discorsi dei banchieri centrali spesso hanno per i mercati, quest’anno non ha offerto spunti particolarmente incisivi come invece accadde, per esempio, nel 2010, quando l’allora capo della Fed Ben Bernanke colse proprio quell’occasione per annunciare il secondo round del quantitative easing. E a proposito di mercati: a valle del simposio, l’S&P 500, l’indice che segue l’andamento delle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione, ha aggiornato i suoi massimi avvicinandosi ai 2.900 punti, a conferma del felice momento dell’economia e della finanza USA. Insomma, Powell sembra avere ragione.
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