È blu tutta quell’economia che ruota intorno ai fiumi, ai laghi, ai mari e agli oceani. A tendere, ciò riguarderà non più soltanto il turismo o l’estrazione di energia e minerali, ma anche la salvaguardia degli ambienti acquatici e sottomarini
Qual è il colore dell’economia? Il filosofo Thomas Carlyle la chiamò “scienza triste”, connotandola di grigio. Con il carbone della rivoluzione industriale diventò nera. La crescente attenzione all’ambiente l’ha tinta di verde. Ma c’è un colore che può rappresentare il futuro dell’economia, ed è il blu. Sì, perché si sta sviluppando sempre più una cultura della salvaguardia, della prevenzione e della sostenibilità di oceani, mari, fiumi e coste, che porta con sé risvolti tangibili sotto molti punti di vista.
Cos’è la Blue Economy? Il “blue” di Blue Economy identifica i mari e gli oceani, che non sono solo meta di vacanze, ma rappresentano le nostre principali riserve di cibo, risorse minerali ed energia. L’economia blu si occupa infatti di tutte le attività economiche che hanno a che fare con il mare, le coste e i fondali, e punta a rivoluzionarle. In che modo? Prendendo spunto dalla biomimesi, una disciplina scientifica che studia le caratteristiche delle specie viventi e prende ispirazione proprio dal funzionamento degli ecosistemi naturali, dove nulla è sprecato e tutto viene riutilizzato all’interno di un processo che trasforma i rifiuti in materie prime. Il maggior teorico ed esponente di questa teoria è l’economista belga Gunter Pauli, che sta dimostrando come sia possibile risollevare le sorti dell’economia mondiale adottando un approccio alternativo, basato appunto sulla sostenibilità e la reimmissione degli scarti nel circuito produttivo. Utilizzare le microalghe marine come biofuel è solo un esempio di come si può creare reddito da ciò che noi vediamo come un mero scarto produttivo.
L’economia blu sposa l’ambientalismo. La sfida, anche in questo caso, è preservare la redditività della tradizionale economia marittima – fatta, come accennato, di turismo, pesca, estrazione mineraria e sfruttamento energetico – riducendo drasticamente l’impatto di fattori come i cambiamenti climatici, la diminuzione della biodiversità, l’inquinamento. Facendo sì, insomma, che tutte le attività umane più o meno correlate al blu diventino più rispettose dello stesso blu, anche per il bene di chi vi investe. In sé, la Blue Economy è decisamente redditizia: la Commissione Europea certifica che solo nel 2016 il settore “blu” ha generato più di 174 miliardi di euro, creando circa 3,5 milioni di posti di lavoro (pari all’1,6% dell’occupazione totale nella UE), mentre le stime del World Economic Forum parlano inoltre di circa 3 mila miliardi di dollari di “nuove opportunità”.
Un elevato potenziale di crescita. Le previsioni ci dicono anche che entro il 2050 oltre il 50% delle risorse energetiche e minerarie verranno estratte dal mare. La Blue Economy rappresenta quindi un prezioso investimento sia a breve sia a lungo termine. Ma oltre a rivitalizzare i settori tradizionali dell’economia e a individuare nuovi settori emergenti, la crescita “blu” può aiutarci ad assicurare che gli ecosistemi marini rimangano sani e salvaguardati. Uno dei principali obiettivi, infatti, è potenziare lo sviluppo di tecnologie per l’energia rinnovabile e la lotta all’inquinamento marino derivante dai rifiuti: non dimentichiamo che entro pochi anni i nostri oceani potrebbero contenere più plastica che pesci.
L’Italia è tra le economie blu più importanti d’Europa. Insieme al Regno Unito, la Spagna, la Francia e la Grecia, anche l’Italia, con i suoi chilometri di coste, fa parte delle cinque economie blu più grandi d’Europa. Attualmente, la Blue Economy italiana dà lavoro a oltre 390 mila persone e genera circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto lordo. La crescita è trainata principalmente dal settore del turismo costiero, che nel 2016 ha generato il 50% dei profitti complessivi. Sono quasi 200 mila le imprese dell’economia blu, distribuite all’interno di vari settori di attività che contribuiscono all’intero indotto dell’economia del mare del Belpaese. Numeri che mettono ben in evidenza la forza di questo segmento produttivo come contributo rilevante alla crescita socioeconomica dell’Italia.
Tra opportunità e scogli. La Commissione Europea rileva come l’economia marittima si trovi ad affrontare una serie di sfide, come la crescente urbanizzazione delle zone costiere, l’eccessivo sfruttamento degli stock ittici e l’inquinamento marino. Inoltre, la Commissione sottolinea come il cambiamento climatico incida pesantemente sulle attività blu, soprattutto l’innalzamento del livello del mare, che rappresenta una grave minaccia per gli ecosistemi e per le economie delle zone costiere. Infine, la mancanza di dati statistici coerenti e comparabili sui diversi settori marittimi regionali rende difficile per i governi e le parti interessate prendere decisioni informate. Emerge quindi la necessità di una maggiore cooperazione tra i Paesi per favorire l’interoperabilità e lo scambio di dati, migliorando la risposta in tempo reale a situazioni di emergenza.
Tuttavia, dove ci sono sfide ci sono spesso delle opportunità. E quando si parla di economia blu, le opportunità di investimento sono numerose.
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