Dalle elezioni del 26 maggio è emersa una nuova geografia politica. Ma la maggioranza europarlamentare sembra destinata a restare europeista. Certo, non mancano le incognite: ecco le reazioni dei mercati
Le cose stanno così: abbiamo un’Unione Europea composta da 28 membri – il Regno Unito sarebbe dovuto uscire il 29 marzo, ma l’appuntamento con l’exit è stato rinviato – con una geografia politica forse mai così variegata. L’unico punto in comune, emerso dalle elezioni del 26 maggio per il rinnovo del Parlamento Europeo, è la crisi più o meno conclamata dei partiti tradizionali. A vantaggio di chi? Ecco, questo è il punto: in Francia e Italia – solo per citare due tra i Paesi fondatori – ne hanno beneficiato i partiti antieuropeisti (Rassemblement National e Lega), mentre in Germania si sono distinti i Verdi. A conti fatti, appare chiaro che la maggioranza europarlamentare del prossimo quinquennio sarà sempre europeista, ma più frammentata e che dovrà poggiare su equilibri un po’ diversi da quelli che hanno funzionato finora. Partito Popolare Europeo e Socialisti e Democratici, infatti, avendo totalizzato 326 seggi a fronte dei circa 400 della legislatura precedente, non ce la possono più fare da soli: per avere la maggioranza dell’assemblea, occorrono almeno 376 seggi. Cosa ci aspetta?
Nuova geografia parlamentare europea. Cominciamo col dire che il voto non ha sconfessato previsioni e attese: a livello continentale ci si aspettava un’avanzata di Liberali e Verdi, e in effetti così è stato. Così come erano in conto le difficoltà dei partiti storici e la brillante prova, seppure a macchia di leopardo, delle formazioni sovraniste e/o euroscettiche. Ma, lo abbiamo detto, PPE e Socialisti si sono comunque assicurati 326 seggi e l’obiettivo dei 376 per raggiungere la maggioranza non è così fuori portata, considerando i risultati importanti ottenuti da forze pro UE come Liberali e Verdi. Lo scenario più probabile è appunto quello di un’alleanza di PPE e Socialisti con queste formazioni. Il rafforzamento degli schieramenti euroscettici, quindi, non sembra per ora sufficiente a produrre un impatto significativo sugli equilibri e le politiche europee, anche se sarà interessante osservare quali dinamiche e alleanze si svilupperanno fra di loro. La vera sfida sembra essere appunto quella di arrivare a una maggioranza stabile che consenta all’Europarlamento di funzionare fino al 2024 senza troppi veti contrapposti.
I destini del governo giallo-verde. Veniamo all’Italia. Il trionfatore assoluto di questa tornata elettorale è stato il leader della Lega Matteo Salvini. Il quale con la Lega fa parte di un governo formato in tandem con il Movimento 5 Stelle. Che, al contrario, ha visto i suoi voti quasi dimezzarsi in termini percentuali (in numeri assoluti, secondo YouTrend ne ha persi più di 6 milioni dalle Politiche 2018). E anche se Salvini ha assicurato che l’esecutivo giallo-verde andrà avanti, non sono da escludersi elezioni anticipate. Se si torna al voto, le opzioni sui tempi sono due: luglio, per poter arrivare a settembre con un governo già formato pronto ad affrontare tutta la trafila della nota al DEF, del progetto di bilancio da sottoporre all’UE e della Legge di Bilancio 2020; oppure l’autunno, ipotesi che però cozza con il calendario appena esposto e con la priorità di non far scattare le cosiddette “clausole di salvaguardia” (aumento dell’IVA e via dicendo). Né sono da escludersi quindi un rimpasto di governo o elezioni nel 2020.
Cara Italia, c’è posta per te. Sulle prime i mercati hanno reagito ai risultati elettorali con moderato ottimismo: acquisti sull’azionario europeo, euro sui livelli di venerdì 24 maggio, stabili tassi e spread. A ciò ha contribuito, fra l’altro, l’annunciata fusione tra Fiat Chrysler e Renault. Poi, nel pomeriggio del 27 maggio, soprattutto in Italia, l’umore è cambiato. Motivo? Indiscrezioni su una missiva in partenza da Bruxelles per Roma. Lettera che puntualmente è arrivata mercoledì 29 maggio. “L’Italia non ha fatto progressi sufficienti per rispettare il criterio del debito nel 2018”, si legge nel testo a firma del vicepresidente della Commissione UE Valdis Dombrovskis e dal commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici e indirizzata a “cher Giovanni”, il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Richiesti chiarimenti su eventuali fattori “significativi” utili a “valutare complessivamente in termini qualitativi lo scarto in eccesso rispetto al parametro di riferimento” del debito/PIL.
La missiva ha segnato l’avvio formale del processo che potrebbe portare all’apertura di una procedura per violazione del Patto di Stabilità. E ha rinfocolato le ostilità tra l’esecutivo italiano e l’Europa. Anche a causa di queste tensioni sui conti pubblici, i prossimi mesi per gli asset italiani potrebbero essere all’insegna della volatilità. Attualmente, il motivo di maggiore preoccupazione è lo spread BTP-Bund, che rispetto a un anno fa parte da numeri sensibilmente più vicini al livello di guardia, convenzionalmente posto a 350 punti base. Insomma, tanta carne al fuoco, e bisognerà non farla bruciare.
Per poter visualizzare i commenti devi accettare i cookie facoltativi, clicca qui per cambiare le tue impostazioni sui cookie.