L’Europa è alle prese con un aumento smisurato dei prezzi del gas naturale. Ecco cosa sta succedendo e perché questo tocca anche la transizione verde del Continente
Il gas naturale – che è composto per oltre il 90% da metano – ha rappresentato finora una valida alternativa, meno inquinante, a carbone e petrolio e per questo motivo diversi Paesi del mondo vi stanno facendo grande affidamento nell’ottica di una transizione verso un’economia più green.
Questo gas però – che viene usato per il riscaldamento, la produzione di energia elettrica e sotto forma di carburante (nelle auto a metano) – inizia a scarseggiare, soprattutto in Europa. Risultato? Già prima dell’inizio dell’autunno 2021 i prezzi hanno iniziato ad aumentare a dismisura. E, in prospettiva, gli investimenti nel settore potrebbero rallentare, finendo per mettere a rischio l’avanzamento dell’agenda green dell’Unione Europea.
Gas naturale: calo di produzione e limite ai flussi per l’Europa
All’inizio dell’autunno del 2021, l’Europa si è trovata in piena crisi energetica, un problema riguardante in realtà diverse materie prime. A far decollare i prezzi del gas in particolare è stato un mix di fattori. Da un lato, la forte domanda di gas naturale liquefatto (GNL) in Asia ha attirato carichi altrimenti destinati all’Europa, mentre i venti deboli che hanno soffiato in estate hanno permesso una minore produzione di energia eolica e, di conseguenza, una maggiore domanda di gas per l’energia elettrica.
Da parte loro, i Paesi esportatori – prima tra tutti la Russia – hanno scelto di limitare i flussi di gas verso l’Europa, una tendenza accentuata ulteriormente a seguito di un incendio in una struttura di Gazprom in Russia all’inizio di agosto. Così, a poche settimane dall’inizio dell’accensione dei riscaldamenti, le scorte europee erano ben sotto la media stagionale.
E le quotazioni del gas naturale hanno registrato un aumento di quasi il 500% nell’ultimo anno in Europa: il 20 settembre 2021, il future del gas naturale con consegna a ottobre (Dutch TTF Gas Future, benchmark europeo per i prezzi del gas) ha superato i 75 euro per megawatt-ora, contro i 13,8 euro per megawatt-ora di fine settembre 2020 (fonte: Intercontinental Exchange).
Tutto questo complica la vita alla Commissione UE, che si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, presentando un piano concreto per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% dai livelli del 1990 entro la fine di questo decennio.
Le contromisure: il caso della Spagna
L’aumento dei prezzi del gas, infatti, ha fin da subito generato effetti collaterali tangibili. La Spagna, per esempio, ha annunciato misure di emergenza per limitare i profitti che i produttori possono trarre dalla produzione di energia – comprese le energie rinnovabili – sfruttando l’aumento dei prezzi: una mossa volta anche a porre un freno alla corsa delle bollette.
Questo perché, per come funziona il meccanismo spagnolo, il prezzo del gas influenza il prezzo di ogni altra forma di produzione di energia: soprattutto le rinnovabili, il nucleare e il termico. Il che ha avuto soprattutto quest’anno la conseguenza di arricchire in maniera sproporzionata i produttori.
Proprio per questo il governo ha deciso di tagliare le entrate extra di centrali idroelettriche e nucleari. Quando il gas supera un certo tetto (20 euro per megawatt/ora, per la precisione), i benefici ottenuti dalle imprese energetiche che producono energia nucleare o idroelettrica vanno destinati a ridurre la bolletta. Una decisione indubbiamente a sostegno dei consumatori. Ma anche un bel disincentivo a investire in energie rinnovabili.
Problema di credibilità per le ambizioni green europee
“L’impennata dei prezzi dell’energia ha colpito le economie di tutta Europa, e se le azioni di Madrid verranno imitate altrove, ovvero se i governi daranno priorità all’energia a basso costo rispetto alla transizione verde, allora la credibilità dell’UE nel promuovere l’azione globale per il clima potrebbe risentirne, specialmente in vista della COP26 a Glasgow in programma a novembre”, ha detto Henning Gloystein, direttore dell’energia presso la società di consulenza Eurasia Group.
La Spagna in effetti non è l’unico Paese a essere intervenuto nella questione dell’aumento dei prezzi del gas, con Grecia e Francia che hanno annunciato mosse simili. La mossa naturalmente non è piaciuta ai produttori di energie rinnovabili. “Tutto questo mina la fiducia degli investitori nel Paese, in un momento in cui la nazione ha bisogno di denaro privato per raggiungere le sue ambizioni climatiche”, ha commentato la società spagnola Iberdrola.
Ma il punto qui è un altro. Alcuni Paesi europei hanno puntato il dito contro l’Unione per l’aumento dei prezzi del gas. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, per esempio, ha dichiarato che i prezzi dell’energia in Polonia sono legati alle politiche climatiche dell’UE.
La risposta di Bruxelles non si è fatta attendere, con il commissario per il clima, Frans Timmermans, che ha ribadito come l’aumento dei prezzi sia dovuto per grandissima parte a una carenza di offerta. “Se avessimo avuto il Green Deal cinque anni fa, non ci troveremmo in questa situazione, perché non saremmo più così dipendenti da petrolio e gas naturale”, ha aggiunto.
È ancora presto per dire se davvero la crisi energetica comprometterà la transizione verde dell’Europa, facendo venire meno il supporto pubblico alla produzione di energia pulita. Di recente la Commissione UE ha annunciato che avrebbe istituito fondi speciali da destinare alla popolazione più colpita dalla transizione energetica. La domanda è: basterà?
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