La fine della pausa estiva viene definita dal meeting di Jackson Hole, luogo in cui i banchieri centrali di tutto il mondo si riuniscono per il tradizionale appuntamento che fa il punto sul futuro dell’economia globale. Ecco cosa è successo
Il capo economista di Allianz e cofondatore di Pimco, Mohamed El-Erian, ha da poco pubblicato un influente libro intitolato “The Only Game in Town” sul ruolo dominante (ma non sufficiente) delle banche centrali nel condizionare l’evoluzione dell’economia mondiale. Per molto tempo le decisioni delle banche centrali sono state “l’unico gioco che contava” davvero, e lo sono ancora tutt’ora.
Dal 2009 in poi, l’incontro tra i banchieri centrali tra le montagne di Jackons Hole organizzato dalla Fed di Kansas City, è stato il palcoscenico di grandi annunci di politica monetaria, dal lancio del quantitative easying (QE) ai tassi negativi. Perciò, considerando i precedenti, gli analisti si aspettavano qualche indicazione in più sul raggiungimento dell’obiettivo del 2,0% da parte della Fed; sul ritmo della fine del QE per quanto riguarda la BCE e sui tempi e modi di normalizzazione della politica monetaria da parte della Banca Centrale del Giappone (Bank of Japan). Ma non è stato così, sia la Fed che la BCE hanno deluso le attese e non ci sono stati annunci rilevanti di politica monetaria.
Allora di cosa si è discusso? Il tema della conferenza è stato “Favorire una crescita economica dinamica” e si è parlato di tutto: la diseguaglianza di reddito, l‘impatto della tecnologia sull’occupazione e il ruolo della politica fiscale durante le recessioni. Tra le ricerche pubblicate più interessanti c’è quella presentata da due professori di Berkeley, Alan Auerbach and Yuriy Gorodnichenko , che hanno riabilitato il ruolo della politica fiscale come strumento di lotta alle recessioni. In particolare, secondo i due professori il beneficio di un eventuale stimolo fiscale è maggiore rispetto al costo in termine di aumento d’indebitamento e di rifinanziamento. Un netto cambio di prospettiva rispetto agli anni della crisi della zona euro. Il Governatore della Fed, Janet Yellen, ha nel suo discorso per lo più difeso l’operato della Fed e in particolare la riforma Dodd-Frank, che prende il nome dagli autori, che ha messo un freno agli eccessi di Wall Street e ha reso il sistema finanziario più solido. Stando agli ultimi aggiornamenti da Washington il Presidente Trump vorrebbe però depotenziare. Il discorso di Mario Draghi, invece, si è concentrato sui benefici generati dall’apertura dei mercati e dal rischio di incorrere in misure eccessivamente protezioniste, che non difendono i diritti ma limitano la crescita economica.
Come mai i banchieri non hanno parlato di azioni monetarie? La prima sensazione è che non abbiano grandi annunci da fare. La BCE ha iniziato a ridurre la portata mensile del QE e intende proseguire; la Fed ha già deciso di ridurre il peso del bilancio, deve solo capire quando partire (dicembre 2017 o primi mesi 2018). In questo momento le banche centrali, sembrano essere ad un punto morto. Nessun banchiere centrale sembra aver veramente capito come mai l’inflazione sia ancora lontana dal target previsto dopo un ciclo espansivo lungo nove anni (negli USA), e dopo un altrettanto lungo processo di cura fatto di politiche monetarie ultraespansive. La tesi dominante è che una parte di responsabilità sia da attribuire alle tecnologie, che riducono il potere contrattuale dei lavoratori, e alla sfavorevole demografia che crea un eccesso di risparmio. In questa fase nessuno sembra avere le idee chiare, perciò all’orizzonte non ci dovrebbero essere grandi cambi di strategie, le politiche monetarie rimangono accomodanti e siamo solo all’inizio di un lungo processo di normalizzazione. Per quanto riguarda la Fed, un tema centrale sarà la fine del mandato del Governatore Janet Yellen (inizio 2018) ma non è ancora stato deciso nulla. Non ci resta che attendere il corso degli eventi.
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