L’economia italiana è ancora in sofferenza, così come quella di altri paesi dell’Unione. Per il nuovo anno la sfida della ripresa passa da una politica fiscale in grado di rilanciare gli investimenti e i consumi.
Europa alla sfida della crescita
La malattia che affligge l’economia italiana? L’assenza di crescita economica, o, quand’anche questa si realizzi, il suo basso livello. La crescita, va da sé, è anche il carburante naturale delle sei dimensioni della finanza personale colte dall’indice di benessere finanziario misurato da ING, oggi a 42,2 punti, un livello che testimonia un comfort finanziario medio basso, anche se in lieve miglioramento rispetto a marzo. Ma il problema della crescita, in realtà, riguarda la stragrande maggioranza dei paesi dell’eurozona. Per questo il dibattito politico europeo è andato progressivamente concentrandosi su quale sia il mix di politiche monetaria e fiscale più adatto a riportare l’Europa su un sentiero di crescita economica più elevato.
Direzione giusta, passo lento
In linea di principio, il contesto internazionale sta assumendo una configurazione più favorevole alla crescita, ma il percorso decisionale si è sin qui rivelato denso di ostacoli che ne hanno rallentato i progressi. La direzione è giusta ma, come spesso accade sulle questioni europee, il passo è lento.
Politica fiscale meno restrittiva, ma non abbastanza.
La grande crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha portato con sé un deterioramento delle finanze pubbliche in gran parte dei paesi europei. Il percorso di riaggiustamento fiscale che ne è conseguito sta ora diventando meno restrittivo. Gli stati membri, rispettando grosso modo i vincoli imposti dal patto di stabilità, stanno recuperando un sia pur minimo margine di manovra sui propri bilanci, e cercano di usarlo per stimolare una crescita asfittica. La legge di stabilità per il 2015, attualmente in discussione nel Parlamento italiano, va inquadrata in questo contesto. Le poche risorse disponibili concesse dalla trattativa con Bruxelles sono concentrate sul rilancio dell’occupazione e sul sostegno dei consumi (il rifinanziamento del bonus degli 80 euro). Le misure prese potranno aiutare il Paese ad uscire dalla recessione, ma sono quasi certamente insufficienti a dare, da sole, un forte impulso permanente all’economia.
Il piano Junker per la ripresa
Una ripresa bilanciata richiede anche il contributo degli investimenti, il cui forte diffuso rallentamento è stato uno dei motori principali della recessione degli ultimi anni. Con i bilanci nazionali ancora razionati e con le banche sottoposte a severi controlli sulla qualità dei loro attivi, chi sperava in uno shock positivo sugli investimenti guardava all’Europa, contando sul fatto che la nuova Commissione appena insediata, a parole più sensibile al tema della crescita, avrebbe messo risorse fresche sul tavolo. Un primo passo è stato fatto con il piano Junker, ma, a posteriori, potrebbe tuttavia risultare ancora troppo piccolo. Il piano, mettendo sul piatto solo 21 miliardi di soldi pubblici mira ad attivare più di 300 miliardi di euro di investimenti in tre anni grazie ad una leva finanziaria molto elevata. Si tratta di una struttura finanziaria complessa, i cui contorni precisi devono ancora essere finalizzati, che poggia sull’assunzione che i privati, forti di una garanzia pubblica, metteranno gran parte dei soldi necessari a finanziare i programmi di investimenti approvati. Il che è tutto da dimostrare. Se la politica fiscale ci manda segnali solo timidamente positivi, vediamo cosa ci riserva la politica monetaria.
Espansione monetaria in accelerazione
La Banca Centrale Europea, custode della stabilità dei prezzi nell’area euro, sta facendo quanto nelle sue possibilità. A fronte di dell’aumento dei rischi di deflazione, la BCE ha abbassato il tasso di interesse di riferimento, quello che applica alle banche nelle operazioni di rifinanziamento principale, al suo minimo storico, lo 0.05%. In parallelo, ha varato misure volte a ricreare condizioni di finanziamento più omogenee fra i diversi paesi per i debitori privati ed operazioni di rifinanziamento a lungo termine del sistema bancario finalizzate ad aumentare l’erogazione di prestiti, in particolare di alle imprese non finanziarie. Recentemente, la BCE è arrivata a definire un obiettivo quantitativo per l’espansione del proprio attivo prefigurando, non senza contrasti interni, il ricorso alla versione completa del cosiddetto QE (il quantitative easing, l’accomodamento quantitativo) che comprenderebbe anche l’acquisto di titoli di stato dei paesi dell’eurozona. La tempistica dell’annuncio del piano è ancora incerta, ma il processo potrebbe partire già nel corso del primo trimestre del 2015.
Un mix favorevole a un po’ di crescita e tassi ancora bassi
Quali sarebbero i risvolti pratici di questo mix di politiche per i cittadini italiani nel primo scorcio del 2015? La politica fiscale, e le sue ramificazioni, potrebbero portare in dono una maggior dinamica occupazionale e, con essa, una timida ripresa dei consumi, favorita anche da un’inflazione destinata a rimanere bassa grazie all’effetto ritardato del calo dei prezzi del petrolio. La politica monetaria espansiva, per parte sua, dovrebbe continuare ad ancorare i tassi di breve termine su livelli molto bassi o addirittura decrescenti se le aspettative di mercato dovessero anticipare acquisti quantitativamente importanti da parte della BCE. Da ultimo, ma non in ordine di importanza, l’annuncio di un Quantitative easing pieno dovrebbe spingere verso un ulteriore indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro, favorendo una ripresa delle nostre esportazioni nei mesi successivi. Nel complesso, un cocktail di effetti compatibile con un’ulteriore accelerazione dell’indice di benessere finanziario di ING ad un ritmo superiore rispetto a quanto visto in settembre.
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