Ageing society, analisi di un fenomeno

Al G20 di fine giugno in Giappone c’è un ordine del giorno che compare per la prima volta in questa riunione: l’invecchiamento della popolazione. Ma perché i Grandi della Terra dovrebbero occuparsene? Proviamo a dare qualche risposta

Il conto alla rovescia è agli sgoccioli: il 28 e 29 giugno, i leader delle 20 maggiori economie al mondo si incontreranno a Osaka. Sarà la prima volta in Giappone, perché per la prima volta sarà il Giappone a esercitare la presidenza del G20. E ci sarà spazio anche per una terza “prima volta”: tra i temi sul tavolo, occuperà un posto di rilievo l’invecchiamento della popolazione. Uno dei punti insieme alla crescita economica, alla riduzione delle disuguaglianze, alle infrastrutture e alla salute, ai cambiamenti climatici, alla plastica negli oceani e all’economia digitale. Ma perché una popolazione mondiale mediamente sempre più vecchia dovrebbe tenere occupate le menti dei leader mondiali? Perché se ne parla?

Linvecchiamento della popolazione. Cominciamo dicendo che si tratta di un fenomeno legato al miglioramento delle condizioni di vita nelle economie sviluppate e, un po’ alla volta, anche nelle aree emergenti. L’accesso all’acqua potabile e agli ultimi ritrovati della medicina e della chirurgia ha determinato un allungamento della vita. La UN Population Division, dipartimento delle Nazioni Unite che analizza i cambiamenti demografici a livello globale, prevede una popolazione mondiale nel 2030 di oltre 8 miliardi e mezzo di individui, all’incirca un miliardo in più di quelli che oggi abitano il pianeta. Non solo: rispetto al 2017, gli over 60 dovrebbero raddoppiare entro il 2050. E per il “Global Health Care Outlook 2018” di Deloitte, l’aspettativa di vita nel 2021 aumenterà a 74,1 anni, con gli over 65 che supereranno i 650 milioni di individui sulla Terra. Tanti venerandi, quindi. Ma i bambini?

Linvasione delle culle (vuote). E mentre noi viviamo mediamente di più e meglio, il tasso di fertilità si riduce e nascono sempre meno bambini. Il che contribuisce all’innalzamento dell’età media della popolazione mondiale. La ragione è facilmente intuibile: se in una stanza ci sono cinque persone, una di 30 anni, una di 40, una di 55 e due di 80 anni, l’età media (data dalla somma delle età anagrafiche divisa per il numero delle persone nella stanza) sarà pari a 57 anni; se in quella stessa stanza entrassero due bambini, di uno e di tre anni, l’età media scenderebbe a 41 anni; altrimenti, quelle cinque persone continueranno a invecchiare e l’età anagrafica media contenuta in quella stanza continuerà a salire. Ecco, ma perché si fanno meno figli?

Mi si è ristretta la famiglia. C’è chi se la prende con il crescente numero di “famiglie mononucleari”, che poi altro non sono che i single. Negli anni Sessanta rappresentavano l’eccezione alla regola, mentre oggi si riscontrano molto frequentemente nelle grandi città delle aree sviluppate (per esempio in Europa, USA e Giappone), dove, complici separazioni e divorzi, questo tipo di famiglia costituisce quasi la metà della popolazione. A monte c’è la crescente urbanizzazione, con le quotazioni degli immobili che, stanti le possibilità di spesa del singolo o della coppia, spesso si aggiungono alla varietà e alla complessità di fattori che scoraggiano la convivenza con altre persone o la ricerca di un figlio, o di un secondo figlio dopo il primo. Ora, com’è facile immaginare, tutto questo avrà un impatto di lungo termine sull’economia.

E si torna a parlare di silver economy. Ve ne abbiamo già parlato, se vi ricordate: il perno si sposta dai giovani alle persone – diciamo così – “più mature” e con esso si rimodula anche l’offerta di beni e servizi. E prende sempre più forma la cosiddetta “silver economy” (link https://vocearancio.ing.it/va-silver-economy-vero-megatrend/) , l’economia degli anni d’argento, che coinvolge tutta una serie di comparti, dal farmaceutico all’alimentare, dall’immobiliare all’assicurativo. Facciamo una rapida ricognizione per capire di che cosa si tratta. Popolazione mediamente più anziana vuol dire anche popolazione mediamente più esposta al rischio di malattie croniche, dai disturbi cardiaci al diabete. Serviranno dunque medicine, terapie, servizi e strumenti sempre più innovativi ed efficaci. Riuscirà il sistema sanitario nazionale, laddove presente, a coprire ogni spesa? Difficile, per non dire impossibile. E allora ecco che si profilano nuove sfide per il comparto assicurativo, che sarà sempre più sollecitato a intervenire con specifiche coperture.

Ma perché curare, se si può prevenire? A una popolazione mondiale che aumenta – e di cui cresce anche l’età media – bisognerà garantire un’offerta alimentare sana e nutriente. Il che, in un pianeta con risorse limitate, non è proprio una passeggiata. La filiera dovrà massimizzare i risultati minimizzando l’utilizzo di queste risorse e soprattutto gli sprechi. Le imprese, da questo lato, dovranno essere sempre più convincenti e non dovranno temere l’innovazione, se vorranno attirare investimenti. Oltre alla giusta alimentazione, un po’ di movimento potrà aiutare: ok, ma come posso stare tranquillo se vivo in città, aggredito tutti i giorni da livelli allarmanti di polveri sottili? Prevenire vorrà dire anche contrastare l’inquinamento: regolamentazione, controlli, un parco auto e bus rinnovato che non teme l’elettrico e adeguate ristrutturazioni immobiliari di taglio ecocompatibile (riscaldamento, infissi e via dicendo) potranno essere un passo nella giusta direzione. Non solo emissioni: occorrerà anche una migliore gestione dell’acqua dolce – la risorsa finita per eccellenza – e dei rifiuti (non a caso al G20 nipponico si parlerà anche di plastica).

Tante opportunità per investire. Di fronte a una popolazione in aumento, non solo per numero ma anche per età media, emergeranno sempre più impetuosamente bisogni e nuove sfide. E le imprese – biotecnologiche, assicurative, alimentari, automobilistiche, energetiche, di gestione dei servizi pubblici e via elencando – che saranno in grado di mettere a punto le risposte più efficaci potranno essere un’opportunità d’investimento, nell’ambito di un portafoglio correttamente diversificato e con la consulenza di un esperto di fiducia.

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