A ottobre gli acquisti mensili passeranno da 30 a 15 miliardi di euro e a dicembre si interromperanno del tutto. Con quali effetti sui mercati, sulle imprese e sulle famiglie?
La Bce non tocca i tassi di interesse, ma si appresta a chiudere i rubinetti del QE. Nell’ultima riunione del 14 giugno scorso, l’istituzione di Francoforte guidata da Mario Draghi ha assicurato che il costo del denaro non salirà prima dell’estate 2019 – e in ogni caso “fino a quando necessario per assicurare che l’evoluzione dell’inflazione rimanga allineata con le aspettative di un sostenuto percorso di aggiustamento”. Così il “refi”, il tasso di rifinanziamento pronti contro termine, resta a quota zero, mentre il tasso sui depositi, cioè quello che le banche pagano per depositare i loro fondi a Francoforte, rimane negativo a -0,40 e il tasso marginale a +0,25%.
La Bce chiude i rubinetti del QE. Allo stesso tempo però, la Banca Centrale Europea ha annunciato che, a partire da ottobre, il quantitative easing sarà dimezzato, con gli acquisti mensili di asset da parte di Francoforte che scenderanno a 15 milioni dai 30 milioni di euro attuali. Un passaggio intermedio, che porterà entro dicembre all’azzeramento degli acquisti, e quindi alla chiusura definitiva del QE. Mario Draghi ha comunque sottolineato che la Bce continuerà a reinvestire i proventi dei titoli acquistati nell’ambito del QE che giungono a scadenza “per un periodo di tempo prolungato dopo la fine del programma di acquisti e in ogni caso fin quando necessario”. Tra l’altro il QE non scomparirà dal parco strumenti a disposizione della banca centrale: rimarrà nella cosiddetta cassetta degli attrezzi. La fine del QE a dicembre 2018 è comunque subordinata all’avverarsi di alcune condizioni, ha precisato il presidente Draghi:
- La convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo di medio termine del 2%
- Una certa resilienza del percorso dell’inflazione, anche senza ulteriori acquisti netti
Anche se “l’economia dell’area dell’euro continua su un sentiero di crescita e l’inflazione sta gradualmente tornando verso il nostro obiettivo”, ha commentato Draghi, c’è un’incertezza che grava sulle prospettive economiche e “i dati più recenti hanno creato dubbi sulla durata degli scenari di crescita”. I rischi al ribasso per l’outlook arrivano in particolare dalla minaccia di un aumento del protezionismo globale, stimolato dall’imposizione di dazi su acciaio e alluminio da parte degli Stati Uniti: dalla crescita dei prezzi del petrolio innescata dai rischi politici in Medio Oriente e dalla possibilità di una persistenza della volatilità dei mercati finanziari. Si procede con cautela insomma: il programma è tracciato, ma la Bce si riserva di correggere il tiro se le condizioni economiche della zona euro dovessero deteriorarsi in modo significativo nei prossimi mesi.
Ma cosa significa la fine del QE per i mercati, le imprese e le famiglie? Il quantitative easing della BCE è iniziato nel 2015 ed è durato dunque oltre tre anni. In questo lasso di tempo, l’Eurotower ha acquistato titoli di Stato e non per un ammontare di circa 2mila miliardi di euro (circa 300 miliardi di euro solo in titoli di Stato italiani). Questo ha comportato una compressione dei rendimenti obbligazionari a livelli mai visti in precedenza – in molti casi addirittura i rendimenti dei titoli di Stato sono scesi in territorio negativo, con un effetto distorsivo sui mercati.
L’investimento obbligazionario torna interessante. Così banche e operatori istituzionali, come fondi pensione e assicurazioni, hanno dovuto adattarsi a rendimenti di lungo periodo di pochi decimi di punto. Dall’altra parte i mercati azionari e tutte le attività a maggior rischio hanno invece tratto beneficio dai tassi bassi sulle obbligazioni. Per i risparmiatori, la fine del Qe significherà principalmente che l’investimento in titoli del reddito fisso tornerà ad esse remunerativo, così come il risparmio di lungo periodo e previdenziale.
Mutui a tasso fisso e variabile. Un impatto, seppur lento e graduale, si avrà però anche sulle rate dei mutui. Chi ha sottoscritto un mutuo a tasso fisso non ha nulla da temere dalla fine del Qe perché l’importo della rata e il tasso sono appunto fissi per tutta la durata del contratto. È possibile però che nei prossimi mesi le banche possano praticare uno spread più elevato rispetto di quello attuale. Discorso diverso per il tasso variabile, normalmente indicizzato al tasso euribor a 3 mesi, oggi negativo a -0,32%. Fino a quando la BCE non modificherà il tasso negativo (-0,40%) praticato nei confronti delle banche che depositano i loro fondi sui conto della banca centrale non ci saranno movimenti significativi. Ma la normalizzazione della politica monetaria spingerà l’euribor almeno verso lo zero, il che a sua volta – per chi ha un mutuo a tasso variabile – si rifletterà su un aumento della rata mensile.
QE e spread Btp Bund. In ultima battuta, una nota sullo spread. Il QE è nato con l’intento primario di contrastare la deflazione (e a quanto pare ci è riuscito), ma tra gli effetti indiretti degli acquisti di asset da parte della BCE c’è stato anche il calo dello spread tra Btp e Bund. Ora invece i singoli Stati emittenti dovranno cavarsela da soli, senza l’assistenza di Francoforte: tradotto, significa che la volatilità degli spread potrebbe aumentare nei prossimi mesi.
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