In italiano si può tradurre con "rottura", "spaccatura", ma anche con "dirompenza". Quanti, però, sanno esattamente cosa c'è dietro questo termine? Proviamo a fare luce per capire, finalmente, di cosa parlano tutti
La parola “disruptive” è entrata ormai nel vocabolario comune. Si considera tale – ossia dirompente, di rottura– una scoperta, acquisizione o conquista talmente rivoluzionaria da riscrivere le regole del gioco di un’azienda, di un settore, quando non della nostra stessa vita. La “scoperta del fuoco” da parte dell’uomo è stata “disruptive”. La stampa a caratteri mobili di Gutenberg lo fu. E lo sono state anche la macchina a vapore, il motore a scoppio, il dagherrotipo e il cinematografo, l’informatica e il World Wide Web. Insomma, la disruption è sempre esistita e non è una novità di oggi.
Viviamo in un’epoca disruptive. La vera novità dei nostri giorni è la frequenza con cui avvengono queste scoperte, acquisizioni e conquiste dirompenti. Alla fonte c’è l’innovazione tecnologica, che ha subito nell’ultimo trentennio un’accelerazione pazzesca moltiplicando la frequenza degli eventi “di rottura”. Ora, di fronte a noi abbiamo uno scenario che non lascia presagire niente di meno per i prossimi decenni. Cambiamento climatico e scarsità delle risorse del pianeta, aumento e invecchiamento della popolazione mondiale, rapida urbanizzazione e nuovi equilibri economici: “megatrend” in corso che siamo chiamati a gestire e che, data la loro complessità, potrebbero dare una spinta all’ulteriore innovazione della tecnologica, creando un ambiente favorevole alla proliferazione di eventi “disruptive”. Vediamoli nel dettaglio.
Popolazione in aumento e risorse in calo. Il think tank internazionale Global Footprint Network (GFN) ci ha informati che mercoledì primo agosto è stato l’Earth Overshoot Day 2018, ovvero il giorno in cui abbiamo ufficialmente consumato tutte le risorse che il nostro pianeta è in grado di produrre in un anno. A partire da quella data, siamo a debito. Nel 1980 quella giornata arrivava il 3 novembre, nel 1990 l’11 ottobre, nel 2000 il 23 settembre. La scadenza si è avvicinata man mano che il nostro numero e le nostre esigenze sono aumentati. L’ONU prevede che nel 2030 saremo 8,5 miliardi e, secondo le stime, il 30% dell’incremento riguarderà gli over 65. L’innovazione tecnologica sarà essenziale per sostituire le fonti energetiche fossili (destinate a esaurirsi), garantire cibo a tutti, gestire l’acqua potabile e sviluppare cure adeguate a una popolazione più anziana e fragile.
La tecnologia sarà la chiave di volta? In compenso, siamo nel bel mezzo di una rivoluzione tecnologica in grado di esercitare un impatto pazzesco su ognuno degli ambiti citati, proseguendo sulla strada delle energie rinnovabili, inaugurando una più efficiente gestione dell’acqua dolce, e attività di produzione – agricoltura, allevamento, industria – a minore impatto ambientale, portando avanti progressi della medicina e della chirurgia. E sotto la spinta delle nuove conquiste tecnologiche, anche la produzione industriale diventerà sempre più automatizzata e interconnessa, in un contesto giocoforza globale. Infine, oltre alla maggiore potenza di calcolo e connettività, c’è la sfida rappresentata dai dati, tra l’Internet delle cose, l’immagazzinamento cloud, l’analitica e il machine learning.
Città sempre più grandi e popolate, anche in Asia. Una grande potenzialità “disruptive” ce l’ha anche la forte urbanizzazione, che proseguirà nei prossimi anni con pressioni crescenti sulle infrastrutture e sui servizi. Tutto ciò riguarderà di certo anche le grandi città asiatiche, se consideriamo che, secondo tutte le stime, ci stiamo dirigendo verso un nuovo “ordine economico mondiale”. A giugno, mentre in Canada si svolgeva la riunione tra i Sette Grandi Paesi Sviluppati, a Qingdao, sul Mar Giallo, si confrontano gli otto Paesi della Shanghai Cooperation Organization: Cina, Russia, India e Pakistan, oltre a quattro Stati dell’Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan). E sarà sempre più su questo fronte che si sposteranno gli equilibri di potere dell’economia mondiale, basti guardare ai dati di crescita: in uno studio del 2015, PwC prevedeva che entro il 2050 sette delle 10 maggiori economie mondiali saranno quelle che oggi chiamiamo “emergenti”.
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