Per cambiare lavoro, carriera e stile di vita vi serve un piano pratico e concreto: ecco chi vi può aiutare a realizzarlo
Tanti sperano di entrare, altrettanti sognano di fuggire: è uno dei paradossi di un mercato del lavoro duro e competitivo come quello attuale. È così difficile superare tutte le barriere d’ingresso (anagrafiche, di genere, professionali, macroeconomiche) delle professioni, che a un certo punto del percorso si smarrisce il significato stesso del percorso, della carriera che si è riusciti a costruire. Il 68 per cento degli italiani (quindi sette vostri colleghi su dieci) è insoddisfatto del proprio lavoro, secondo uno studio di Espresso Communication per Sodexo. Stipendio, orari rigidi, ambiente di lavoro poco salutare, problemi contrattuali, difficoltà con i capi e i colleghi, mancanza di riconoscimenti, scarso appagamento. I motivi sono tanti, il risultato è lo stesso: dopo tanti anni spesi a costruirsi la strada verso la scrivania, se ne trascorrono altrettanti a sognare di fuggire da quella scrivania. La buona notizia è che fuggire è possibile: vi servono un coach e un metodo per farlo.
Per scappare non è necessario essere Houdini. Il concetto è quello della «corporate escape», la fuga dall’azienda, con l’aiuto decisivo di un escape coach, figura piuttosto diffusa nel mercato anglosassone, che Monica Lasaponara, prima professionista del genere in Italia, ha portato nel nostro paese. Non servono le abilità sovrumane di Harry Houdini o il tempo a disposizione di Andy Dufresne, il protagonista di Le ali della libertà, che scava la sua via verso l’evasione con un cucchiaio. Servono invece un obiettivo concreto, un piano per realizzarlo (e qui entrano in gioco i coach in fughe come Monica, che a sua volta ne aveva attuata una, da manager a consulente) e la voglia di mettere in gioco tempo e risorse per attuarlo. Niente di aleatorio: la community inglese Escape the City ha 300mila membri, è attiva in un centinaio di città, fa corsi da dieci settimane (pensati per essere fruiti da chi ha un lavoro a tempo pieno, ovviamente) che servono a organizzare la transizione e il viaggio verso una carriera più soddisfacente e più libera.
Ognuno fugge a modo suo. L’esito può essere un lavoro da freelance, un microbusiness, una startup o anche un’altra carriera, anche se il percorso più comune porta dal lavoro in una grande azienda a percorsi individuali o imprenditoriali. Parafrasando Anna Karenina, le prigioni si somigliano tutte, ma ogni fuga è eseguita a modo suo. Quello che accomuna gli escaper è il metodo. L’idea, come racconta Lasaponara, non deve essere il velleitario stereotipo di un piccolo bar sulla spiaggia ai Tropici, «ma trovare un’alternativa alla vita d’ufficio o a un lavoro che non vi piace senza fare colpi di testa e con la giusta dose di buon senso e pianificazione. In maniera sicura, pratica, con pochi fronzoli e perdite di tempo». Insomma, aiutare professionisti di talento a trovare una collocazione lavorativa più adatta alla propria visione del mondo, ai propri sogni e al proprio stile di vita. In Italia tutto cominciò con gli Escape Monday, incontri del lunedì a Roma e Milano, nati come traduzione italiana di Escape the City, nei quali si condividevano sogni, aspettative e soprattutto le storie di successo di chi ce l’aveva fatta. Da quella storia, Monica Lasaponara ha messo a punto il suo metodo da escape coach, le sue consulenze su misura per gli escaper e gli Escape Workshop, evoluzione più concreta degli Escape Monday: non più solo storie di successo, ma strumenti pratici per arrivare all’obiettivo.
Strappiamo il curriculum. Il lavoro con l’escape coach si avvia sempre con una fase di valutazione del punto di partenza professionale ed esistenziale. «Dico sempre, strappiamo il curriculum e andiamo a vedere chi siete. Non una cosa spirituale ma molto pratica: le competenze che già usate in azienda, quelle che vi piacciono o terreste, gli hobby che hanno una potenzialità remunerativa». La stesura del piano comprende sempre la triangolazione di questi tre elementi: cosa sapete fare, cosa vi piace fare e i temi che vi interessano, con un occhio allo stile di vita che desiderate in prospettiva. Poi ci sono i parametri di partenza: «C’è chi ha tanto tempo, chi ne ha poco, chi ha qualcosa da parte, chi no, chi ha una famiglia da mantenere e chi è da solo. Da questo punto in poi del mio lavoro, ogni progetto è diverso». Si passa così all’attivazione pratica, transitando dal coaching su ambizioni e aspettative alla costruzione del business. È il momento di sviluppare un progetto, inventarsi una professionalità, si pensa agli aspetti pratici e comunicativi (sito Web, social network). Il lavoro con l’escape coach non ha un orizzonte temporale prestabilito, ma non dura mai meno di sei mesi. E soprattutto: deve essere sostenibile economicamente, le prime remunerazioni devono arrivare in fretta, affiancandosi al lavoro corporate durante la transizione: «Il mio metodo non è indirizzato a chi ha patrimoni ai quali attingere, per loro ci sono altri canali e altri strumenti. I miei piani sono per chi ha bisogno di una strada veloce, concreta e sostenibile».
E voi? Avete mai sognato una fuga dal vostro lavoro? Quale sarebbe il vostro piano ideale? Cosa vi frena? Raccontateci tutto!
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