Spotify, una delle piattaforme per lo streaming musicale più diffuse, ha deciso di fare il grande passo e di quotarsi in Borsa. L'obiettivo ricavare un miliardo di dollari. E lo farà in modo non convenzionale
La notizia circolava già da qualche tempo, ma non aveva ricevuto mai nessuna conferma. Almeno fino ad ora. Spotify, una delle piattaforme per lo streaming musicale più diffuse e utilizzate, ha deciso di fare il grande passo e di quotarsi in Borsa. La società ha infatti presentato alla SEC, l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori, in altre parole il fratello americano della Consob, la domanda di ammissione a Wall Street con il ticker, la sigla, SPOT. E le negoziazioni potrebbero già avere luogo nella settimana del 26 marzo.
La quotazione diretta. Per approdare al NYSE, la Borsa di New York, la società ha scelto una via non tradizionale, quella della quotazione diretta. Attraverso la quotazione diretta Spotify porterà direttamente i suoi titoli in Borsa nel giorno prefissato con un prezzo di apertura determinato dall’andamento degli ordini di acquisto e di vendita. Questa mossa è inusuale. Solitamente, il processo di quotazione prevede diversi step, costosi, che coinvolgono le varie banche di investimento (analisi, pricing, roadshow). Questo modello di quotazione diretta consente di risparmiare un bel po’ di costi, basti pensare che Snapchat aveva versato 100 milioni di dollari per la sua IPO. L’obiettivo dichiarato dall’azienda è quello di ricavare fino a un miliardo di dollari dalla vendita delle azioni e la capitalizzazione potrebbe toccare i 23 miliardi di dollari, se utilizziamo come parametro di riferimento le ultime cessioni di titoli, in forma privata, in un intervallo compreso tra i 93 e i 120 dollari ad azione.
Salgono i ricavi ma il bilancio è ancora in rosso. Quando una società decide di quotarsi in Borsa, uno dei passi necessari è quello di rendere pubblici i propri numeri, le entrate e le uscite, in modo che un potenziale investitore possa farsi un’idea se la società di suo interesse è profittevole oppure no. Fino ad ora poche informazioni erano trapelate sui conti di Spotify, ma con l’avvio della procedura di quotazione il colosso svedese ha aperto i propri bilanci. Se è vero che nel 2017 i ricavi sono saliti a 4,1 miliardi di euro (+39% rispetto al 2016) è anche vero che sono aumentate le perdite, 1,24 miliardi di euro l’anno scorso contro i 539 milioni del 2016 e i 230 milioni del 2015. I margini di guadagno sono sempre più stretti, basti pensare che il 70% degli incassi va agli artisti, quota che è stata oltretutto alzata di recente. I costi e gli investimenti per tenere il passo con i vari competitor sono molto alti e Spotify deve continuare a spendere finanziandosi con i nuovi abbonati che continuano a crescere. Secondo i dati aggiornati a dicembre, sono 159 milioni gli utenti unici al mese e 71 milioni gli abbonati Premium. Insomma, i numeri di Spotify superano quasi del doppio quelli del diretto concorrente Apple Music, fermo a 36 milioni di utenti.
Quale futuro e cosa aspettarsi. Il 31% degli ascolti su Spotify avviene attraverso una playlist (+11% rispetto al 2016) e sicuramente uno degli obiettivi della società svedese sarà quello di creare playlist sempre più personalizzate, realizzate attraverso l’elevata capacità di elaborare i nostri dati di ascolto. Secondo l’ultimo report di Goldman Sachs, il settore musicale nel 2030 dovrebbe toccare i 40 miliardi di dollari: 34 provenienti da ascolti a pagamento e 6 da ascolti con inserzioni pubblicitarie. Insomma, con lo streaming l’industria musicale, che tanti davano per spacciata, sembra aver trovato nuova linfa vitale.
E voi usate Spotify o altre app di streaming musicale? Siete abbonati o vi limitate alla fruizione “free”?
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