La sharing economy vale anche per gli spazi di lavoro: i siti migliori per viaggiare anche per lavoro e non per vacanza
La prima volta che si parlò di «Digital Nomad» fu col famoso libro di Tsugio Makimoto e David Manners. Era il 1997, la definizione ha superato i vent’anni di storia e nel frattempo è diventata un fenomeno globale, avvantaggiato dal costante miglioramento (e dalla vasta diffusione) delle reti internet. Oggi chi ha un lavoro da freelance o libero professionista può scegliere di lavorare in remoto non solo da casa, ma da ogni angolo del mondo, in cerca di nuove opportunità lavorative o personali: sono loro i nomadi digitali. Quella che nel ’97 sembrava una definizione cyberpunk, nel 2018 è uno stile di vita. Seguendo i trend demografici e professionali attuali, i nomadi digitali nel 2035 potrebbero essere addirittura 1 miliardo, globalmente. Il dato è esagerato, ma sicuramente questo stile di lavoro itinerante è sempre più diffuso. È interessante la demografia di questa nuova classe lavoratrice: la maggior parte (33%) ha tra i 30 e i 36 anni, ma c’è un 18% che è più anziano, tra i 37 e i 45 anni. Sono in prevalenza uomini (64%), visitano in media tra i cinque e i dieci paesi all’anno, dove restano tra uno e tre mesi.
La ricerca globale della concentrazione. La vera domanda, a questo punto, è: come e dove lavorano i nomadi digitali? Il luogo comune li vuole agganciati alla connessione WI-Fi di uno Starbucks (o dell’equivalente locale), con un caffè a raffreddarsi per ore e giustificarne la presenza con i gestori, ma chiunque svolga un lavoro di concentrazione sa che a lungo termine le caffetterie non sono luoghi adatti a pensare e a essere produttivi. Per questo motivo, gli spazi di lavoro da mettere in comune con i nomadi digitali sono la nuova frontiera della sharing economy: non solo la fitta rete di co-working che ormai c’è anche sul territorio italiano, ma anche le piattaforme che permettono a uffici e studi professionali di affittare le scrivanie vuote e ai lavoratori in viaggio di trovare uno spazio dentro un open space con la stessa facilità con la quale si trova una camera da letto su Airbnb.
Preferite ufficio o scrivania? L’interfaccia di Ufficio Temporaneo va dritta al punto: appena entrate vi chiede: «Cosa vuoi?». Opzioni: una scrivania in open space, un ufficio chiuso, una sala riunioni, una sala conferenza. «Siamo l’Airbnb degli uffici privati: in questo modo costi e spazi vengono ottimizzati al massimo e possono nascere anche sinergie professionali», così lo presentano i fondatori. «Durante questi anni di lavoro ci siamo resi conto che molti professionisti e piccoli proprietari immobiliari hanno a disposizione degli spazi o delle stanze inutilizzate e faticano a trovare delle opportunità per non lasciare uffici e scrivanie vuote» – spiega Gianluca Mastroianni, uno dei co-fondatori. A differenza di piattaforme come Airbnb, su Ufficio Temporaneo si paga direttamente alla struttura, col vantaggio di non avere costi di intermediazione, al momento nella sua rete ci sono spazi in quindici regioni italiane su venti.
In quale città lavorerete domani? Freelance, professionisti in viaggio e anche piccole società e startup: questa è la clientela alla quale punta Nidaspace, un’altra startup italiana che sta applicando sulla sua piattaforma i principi della sharing economy agli spazi di lavoro. Il servizio parte da questa semplice domanda: «In quale città lavorerai domani?». Una volta impostata la ricerca, arrivano le offerte: uffici, scrivanie, open space. La piattaforma ha spazi in quasi tutta Italia e nasce per offrire opzioni di lavoro «nomade» anche fuori dai grandi centri urbani, già coperti dalla vasta rete di co-working. Sia le prenotazioni che i pagamenti vengono gestiti sul sito, si paga una commissione del 15% sul costo dello spazio.
Per nomadi di lusso. Il posizionamento di Bee’n’Office, terza startup italiana del settore, è rivolto a un target leggermente diverso dalle precedenti. La piattaforma è infatti pensata per manager, startupper e professionisti in trasferta e prevede una partnership con una rete di hotel di lusso. Sulla piattaforma si possono trovare uffici, sale meeting, spazi di incontro, ma anche stanze d’hotel per il professionista in trasferta che ha bisogno di una pausa di qualche ora per rilassarsi o prepararsi a un incontro. Le formule sono quindi due: Business Use, per lavorare, incontrare clienti, organizzare eventi e produzioni foto/video. E Day Break, che mette a disposizione le stanze d’albergo per soste ristoro diurne di poche ore.
Idee su scala globale. Le tre piattaforme precedenti offrono soluzioni capillari sul territorio italiano. Ma il nomade digitale è per sua natura globale, quindi ecco le migliori soluzioni per le vostre esplorazioni internazionali. Office Riders è perfetta per chi cerca spazi di lavoro, meeting o produzione audio/video sul territorio francese. LiquidSpace è ben radicata invece negli Stati Uniti e in particolare nei poli dell’innovazione su entrambe le coste, da Boston a San Francisco. WeWork è invece una piattaforma autenticamente globale, presente in decine di città sul territorio americano, così come in Sud America, Cina, India, Singapore, e permette di spostare anche staff più ampi del singolo lavoratore freelance, come l’intero team di una startup in trasferta. Infine, anche ShareDesk parte dalla domanda: «Dovete avete voglia di lavorare?», proponendo anche spazi insoliti e diversi dalla solita scrivania, come un giardino co-working in Francia (presumibilmente per la primavera estate) o un atelier a Vancouver, in Canada.
Una comunità globale. Al di là delle piattaforme, la risorsa più importante per i nomadi digitali è la comunità globale alla quale appartengono. Nomad List è un database internazionale creato dal basso con strumenti, risorse, dati e classifiche sulle città e gli spazi migliori per lavorare viaggiando. Il gruppo Facebook Digital Nomads Around The World conta 70mila iscritti ed è un’altra utile risorsa per rimanere informati su questo stile di vita e imparare da chi ci si è già cimentato. Più piccolo ma utile per chi si muove in Italia il gruppo Nomadi Digitali Italiani. «Questo gruppo si propone di diventare un punto di riferimento per tutti coloro che usano le nuove tecnologie e la rete per lavorare online e viaggiare», si legge nella descrizione. Infine, guardando ai dati demografici si evidenziava una prevalenza maschile, anche per questo motivo esistono gruppi al femminile per promuovere le opportunità legate al nomadismo digitale, come Digital Nomads Women Community.
Voi avete mai provato una di queste piattaforme nei vostri spostamenti per lavoro?
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