Gli ultimi dati Istat registrano quasi mezzo milione di dipendenti in più. Meno del 10%, però, è a tempo indeterminato. Gli sgravi fiscali favoriscono gli under 35, mentre la posizione della cosiddetta “Generazione X” appare più fragile e incerta
Il lavoro in Italia aumenta, ma è a tempo determinato. E comunque il tasso di disoccupazione è fra i più alti in Europa. È quanto emerge dai dati Istat ed Eurostat diffusi a gennaio – e aggiornati a novembre 2017 – sul numero di occupati e disoccupati nel Vecchio Continente. Bicchiere mezzo pieno, dunque. O mezzo vuoto, a seconda dei punti di vista.
Boom del determinato. Rispetto al novembre del 2016, in un anno il numero di occupati è aumentato dell’1,5%. Ovvero, ci sono 345 mila donne e uomini in più che hanno un posto di lavoro: risultato, questo, della somma tra il calo dei lavoratori indipendenti, giù di 152 mila unità, e l’aumento dei dipendenti, che sono 497 mila in più. Di questi, però, 450 mila sono a termine. Meno del 10%, quindi, è a tempo indeterminato.
Temporaneo è meglio. In altre parole, le aziende italiane sembrano affidarsi più volentieri ai lavoratori temporanei, cosa che rende più fragile la ripresa dell’occupazione. Secondo la rielaborazione effettuata da Bloomberg sulla base dei dati Istat, il numero degli occupati è aumentato di 1,1 milioni dal maggio del 2014, ma più della metà – il 58% – è rappresentato per l’appunto da dipendenti a tempo determinato.
Effetto sgravi fiscali. Allargando lo sguardo, l’Istat ha fatto sapere che a novembre il tasso di disoccupazione in Italia si attestava all’11%, in calo dello 0,1% rispetto a ottobre. Una diminuzione che, sulla spinta degli sgravi previsti per le assunzioni degli under 35, si concentra soprattutto nelle categorie anagrafiche più basse. La disoccupazione giovanile, relativa cioè alla fascia d’età che va dai 15 ai 24 anni, è scesa dell’1,3%, al 32,7%. Variazione compensata però dalla maggiore disoccupazione riscontrata fra chi ha più di 35 anni ed è quindi fuori dal perimetro di applicazione delle agevolazioni fiscali.
La Generazione X resta indietro. Mese su mese, la stima degli occupati è tornata a crescere: +0,3% rispetto a ottobre, ovvero 65 mila persone in più che lavorano. Il tasso di occupazione è salito dunque al 58,4% (+0,2%). In valori assoluti, aumentano gli occupati ultracinquantenni (+396 mila) e i 15-34enni (+110 mila), mentre calano i 35-49enni (-161 mila): la Generazione X, insomma, va controcorrente. Anche nel tasso di inattività (che include anziani, studenti, casalinghe): in generale è calato al 34,3% (-0,1%), mentre nella fascia 25-49 anni ha subito un incremento.
I dati del terzo trimestre 2017. Il periodo compreso tra settembre e novembre conferma la crescita degli occupati: in confronto al trimestre precedente si è registrato infatti un +0,4%, ovvero 83 mila lavoratori in più. Pure in questo caso l’incremento si è concentrato principalmente tra gli over 50 e, anche se in misura più lieve, fra i 15-24enni. Giù invece i 25-49enni. Nel trimestre, rispetto ai tre mesi precedenti, alla crescita degli occupati si è affiancato un calo dei disoccupati (-1,4%, ossia 40 mila in meno) e degli inattivi (-0,3%, 43 mila in meno).
I numeri in Europa. Scende la disoccupazione anche nella zona euro, arrivando al livello più basso dal 2009. Secondo l’Eurostat – l’equivalente dell’Istat nell’Unione Europea – il tasso di disoccupati nell’area della moneta unica a novembre era pari all’8,7%. Ancora meglio a livello UE: nei 28 Paesi il tasso di disoccupazione rilevato si attestava al 7,3%, il più basso dall’ottobre del 2008.
Italia in coda alla classifica. Una quota che però si declina in misura diversa a seconda della nazione: momento d’oro in Repubblica Ceca, con la disoccupazione al 2,5%, a Malta e in Germania (3,6%). Situazione nettamente più complicata in Grecia, con il 20,5% (comunque in calo), e in Spagna, che registra il 16,7%. Con il suo 11%, l’Italia si colloca tra gli Stati UE in coda alla classifica. In linea con la disoccupazione giovanile: secondo Eurostat, la quota nel nostro Paese resta tra le più elevate d’Europa, dopo Grecia (39,5%) e Spagna (37,9%).
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