L'ISTAT ha pubblicato un nuovo aggiornamento sul rapporto deficit/PIL in Italia. Tutti i media ne hanno parlato e sui social sono piovuti i commenti. Ma quanti sanno veramente cosa ci dice questo indicatore? Proviamo a capire che cos'è e perché è importante
Quante volte abbiamo sentito dire: “Ce lo chiede l’Europa”? Dalla crisi del debito del 2011 in poi, è stata la formula più usata per far digerire i provvedimenti legislativi e di gestione della “cosa pubblica” meno popolari. Ma una richiesta l’Europa ce la fa per davvero: alla luce del Patto di Stabilità e Crescita del 1997 (che ha seguito il Trattato di Maastricht del 1992), gli Stati membri dell’Unione Monetaria non devono sforare il 3% nel rapporto tra deficit e Prodotto Interno Lordo, dato che alti livelli di deficit/PIL alla lunga possono compromettere la stabilità del Paese e, di riflesso, dell’Unione stessa. Quindi, se lo sforamento avviene, il Consiglio UE avvia la procedura per disavanzo eccessivo invitando lo Stato ad adottare le opportune misure correttive. E in caso di inadempienza, il Consiglio Europeo passa alle sanzioni.
Cosa si intende per deficit? Immaginiamo che lo Stato sia una persona, con un suo stipendio e le sue spese più o meno ordinarie. La differenza tra entrate (stipendio) e uscite (spese) si chiama “saldo”. Il saldo di uno Stato può essere positivo o negativo. Per meglio dire:
- quando le entrate superano le uscite, il saldo è positivo e si ha una situazione di avanzo;
- se entrate e uscite si compensano, si ha pareggio di bilancio;
- se invece le uscite superano le entrate, si ha una situazione di disavanzo, noto anche come deficit pubblico o indebitamento netto.
Le uscite dello Stato sono rappresentate da acquisti di beni e servizi, trasferimenti alle amministrazioni locali e alle aziende e retribuzioni, pensioni e altri sussidi, come per esempio quelli di disoccupazione, per gli individui. Le entrate, invece, sono principalmente costituite dalle imposte.
Il rapporto deficit/PIL. Il deficit pubblico si esprime in euro (o comunque nella valuta del Paese al quale si riferisce), ma nel valutare i conti di un Paese si preferisce guardare a un altro parametro: ovvero, il rapporto percentuale tra il deficit pubblico e il Prodotto Interno Lordo. Questo rapporto consente di mettere a fuoco le dimensioni del disavanzo nel quadro del reddito che un Paese è in grado di produrre: fatto 100 il PIL in euro generato in un certo arco di tempo, un rapporto deficit/PIL del 3% significa che il disavanzo è di 103 euro. In pratica, ci dà un’idea un po’ più concreta di quanto (e se) uno Stato sta uscendo dalla carreggiata.
Cos’è il saldo primario. All’interno del deficit pubblico c’è poi il saldo primario, ovvero il saldo fra entrate e uscite – che come detto può essere positivo o negativo – calcolato al netto degli interessi, e cioè escludendo le spese per gli interessi sul debito che lo Stato ha verso gli investitori – famiglie, aziende, Stati esteri – che hanno comprato le sue obbligazioni.
Come si riduce il deficit. Chi non ha mai sentito parlare di “spending review”, che in italiano possiamo tradurre come “revisione della spesa”? È una delle soluzioni per abbassare il disavanzo pubblico e riportare in carreggiata un Paese. Consiste nel tagliare la spesa, a cominciare dagli sprechi e dalle inefficienze. Altre vie d’uscita dal deficit eccessivo fanno leva non sulla diminuzione delle uscite ma sull’incremento delle entrate: si possono per esempio emettere e vendere titoli di Stato (accrescendo però in questo modo il debito pubblico), aumentare le imposte (scelta spesso contestata perché deprime i consumi e quindi la crescita economica), introdurre condoni e procedure straordinarie tipo “voluntary disclosure” e avviare privatizzazioni.
Come è messa l’Italia. Secondo l’ISTAT, nel quarto trimestre del 2017 l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (Stato, enti locali, aziende autonome ed enti di previdenza) in rapporto al PIL in Italia è stato pari all’1,6%, in lieve calo dall’1,9% dello stesso trimestre del 2016. Il saldo primario delle amministrazioni pubbliche, e cioè l’indebitamento al netto degli interessi passivi, è stato positivo, con un’incidenza sul PIL del 2,2% a fronte del 2,1% del quarto trimestre 2016. Un miglioramento che, a livello di imposte, non sembra essere avvenuto a carico dei contribuenti: l’ISTAT, infatti, riferisce che la pressione fiscale è stata pari al 48,8%, in calo dello 0,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Nell’intero 2017 il rapporto deficit/PIL si è attestato, sempre secondo l’ISTAT, al 2,3% (contro il 2,5% del 2016), includendo l’impatto del salvataggio delle banche in difficoltà (6,3 miliardi di euro tra istituti veneti e MPS).
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