Ridurre gli sprechi, riutilizzare le risorse, riciclare gli scarti: le tre “erre” della sostenibilità riassumono bene i principi della bioeconomia. La quale, senza trascurare occupazione e PIL, parte da un punto fermo: non abbiamo un pianeta B
Il presupposto è chiaro ed evidente: in uno scenario planetario più complesso e articolato che mai, è indispensabile che la sostenibilità orienti sempre di più le azioni di aziende, istituzionie singoli. “Sostenibilità” vuol dire anche uso responsabile delle risorse del pianeta, il che fra le altre cose vuol dire eliminare gli sprechi. Impossibile? Niente affatto: come diceva il dottor Frederick von Frankenstein nel film “Frankenstein Junior”, si può fare. Grazie all’avanzamento della scienza e della tecnologia. Un avanzamento che, in campo economico, sta dando forma a quella che si chiama “bioeconomia”.
Introduzione alla bioeconomia. La bioeconomia consiste nello sfruttamento intelligente di risorse rinnovabili di origine biologica. Uno sfruttamento improntato a una logica circolare, in grado di massimizzare le opportunità di riutilizzo attraverso appunto l’innovazione scientifica e tecnologica, complice possibilmente il cambiamento dei comportamenti di imprese, istituzioni e consumatori. Le risorse biologiche impiegate provengono sia dalla terra sia dal mare e sono utilizzate nella produzione energetica, industriale, alimentare, dei mangimi. Alla bioeconomia l’OCSE ha dedicato il rapporto “The Bioeconomy to 2030: designing a policy agenda”, nel quale si mette l’accento sulla capacità di questa attività di dare luogo a una nuova “rivoluzione industriale” e di innovare settori maturi proprio all’insegna della sostenibilità. Certo è che, stanti così le cose, la bioeconomia sarà sempre più decisiva in una serie di sfide: sicurezza alimentare, fabbisogno energetico, riduzione dell’impatto ambientale da agricoltura e industria, cibo sano a costi accessibili, incentivazione dello sviluppo costiero e rurale, lotta ai cambiamenti climatici e corretta gestione dei rifiuti. Ma facciamo un passo oltre.
Il piano europeo e il ruolo dell’Italia. Nel febbraio del 2012, la Commissione Europea ha reso pubblica la strategia “Innovazione per la crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa”, chiamando all’azione Stati e regioni che fanno parte dell’UE. In questo quadro, dall’aprile del 2017 l’Italia si è dotata di una Strategia Nazionale sulla Bioeconomia, con l’obiettivo di arrivare a 300 milioni di euro di giro d’affari e a oltre 2 milioni di occupati entro il 2030. A che punto siamo? Ce lo dice il quinto rapporto intitolato “La Bioeconomia in Europa”, realizzato dalla Direzione Centro Studi di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Assobiotec. Lo studio stima il potenziale della bioeconomia nel nostro Paese, ma in questa edizione fa un ulteriore passo avanti affinandone la definizione. Come? Includendo alcuni settori che prima erano fuori, come la componente biobased dell’abbigliamento, della gomma e plastica e del mobile.
Tutti i numeri del nostro Paese. La produzione della bioeconomia ha visto il suo valore crescere negli ultimi 10 anni, sia in termini assoluti sia in percentuale rispetto al totale dell’output dell’economia italiana: dall’8,8% del 2008 al 10,1% del 2017. Sono in particolare tre i settori che hanno visto aumentare la loro rilevanza rispetto al totale della bioeconomia negli ultimi anni:
- l’industria alimentare e delle bevande;
- i servizi legati al ciclo idrico;
- i servizi di gestione dei rifiuti.
Come accennato, nel 2017 (anno al quale risalgono i dati dell’edizione 2019 del rapporto) la bioeconomia rappresentava il 10,1% del totale della produzione e il 7,7% degli occupati. Ma veniamo ai valori assoluti. L’insieme delle attività connesse alla bioeconomia ha generato nel 2017 un output pari a circa 328 miliardi di euro, occupando oltre due milioni di persone. Il valore della produzione è cresciuto di oltre 6 miliardi rispetto al 2016, con una variazione percentuale del +1,9%, grazie in particolare al contributo di agricoltura e industria alimentare. Contenuto, invece, l’incremento dell’occupazione (+0,2%).
L’Italia si caratterizza per una forte propensione al riciclo e al riuso dei rifiuti: basti pensare che da noi il 67% dei rifiuti trattati viene avviato a riciclo, rispetto a una media europea del 55%. Ancor più interessante il dato sui rifiuti biocompatibili, che rientrano nell’ambito della bioeconomia: il 91% viene riciclato, rispetto a una media europea del 77%.
Per fare un albero ci vuole il seme. Focus poi sulle foreste, doppiamente importanti in quanto fonti di risorse rinnovabili dalle ampissime possibilità di impiego e, al contempo ecosistemi complessi essenziali per preservare la biodiversità, contrastare i cambiamenti climatici, fare da diga al dissesto idrogeologico e caratterizzare paesaggisticamente intere regioni. Con 11 milioni di ettari occupati dalla foresta – il 38% della superficie – l’Italia è il sesto Paese UE in termini assoluti e il primo per dinamica: secondo il rapporto, la superficie boschiva è cresciuta del 6,7% nell’ultimo quarto di secolo, a fronte del +2,1% nella media UE. Grande attenzione alla cura dei boschi: da noi la silvicoltura assicura direttamente 40.000 posti di lavoro, con un valore aggiunto pari a 1,3 miliardi di euro. Mobile e costruzioni, infine, impiegano 104.277 addetti, il 2,8% del manifatturiero, con un fatturato complessivo di 13,3 miliardi di euro, che vede l’Italia in seconda posizione nell’Unione Europea a 28 membri, dopo la Germania.
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