Terminato il G20 in Giappone: ecco cosa c’è da sapere

L’attesissimo vertice bilaterale tra i presidenti di USA e Cina, Donald Trump e Xi Jinping, ha prodotto il risultato sperato: il dialogo tra le sue potenze economiche è ripartito. Ma sui grandi temi i leader del G20 faticano a trovare una posizione condivisa

Stavolta è toccato al Giappone: il 28 e 29 giugno, i leader del pianeta si sono incontrati a Osaka, nel primo G20 svoltosi sotto la presidenza nipponica. Otto i grandi temi in discussione: economia globale, commercio e investimenti, innovazione, ambiente ed energia, occupazione, promozione femminile, sviluppo e salute. Ma c’è stato spazio anche per preoccupazioni più contingenti, come le tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina. Ora che il summit è terminato, sentiamoci pure liberi di chiederci: ma cos’è, alla fine, questo G20? Come nasce, a cosa serve e come si è concluso l’appuntamento sull’arcipelago nipponico? Andiamo a soddisfare tutte queste curiosità.

Piacere, sono il G20. Il G20 si chiama così perché raduna i rappresentanti di 20 Paesi. In realtà, non proprio 20 Paesi, ma 19 più l’Unione Europea. Si tratta delle 20 aree economiche, sviluppate ed emergenti, che messe insieme rappresentano circa l’80% del Prodotto Interno Lordo mondiale e circa due terzi della popolazione del globo terracqueo. Il primo G20 si tenne nel 1999, sull’onda d’urto della crisi finanziaria asiatica del biennio precedente, e riunì i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali. Poi, dopo il fallimento di Lehman Brothers, nel novembre 2008 si svolse a Washington il primo G20 non dei ministri economici e dei banchieri centrali ma, per la prima volta, dei capi di Stato e di governo. Il clima di emergenza mondiale fece sì che il Gruppo dei 20 tornasse a riunirsi una volta ogni sei mesi. Poi, nel 2011, la cadenza divenne annuale.

Il G20 serve? Con la crisi post Lehman in corso, il focus era sulla stabilità finanziaria e sulla ripresa economica, temi molto specifici che sollecitavano misure immediate e precise. Poi, con il venir meno dell’emergenza, il perimetro tematico si è progressivamente allargato fino a includere argomenti monstre come i cambiamenti climatici, la lotta al terrorismo e le grandi migrazioni. Ora, se da una parte ciò è un bene perché indica quantomeno una presa di coscienza, dall’altra ci si chiede se per caso la troppa carne al fuoco non si traduca in un numero eccessivamente esiguo e deludente di risultati concreti. A complicare il tutto c’è il fatto che il gruppo è molto “frastagliato” e attraversato da non poche divergenze – tra Paesi sviluppati ed emergenti, tanto per dirne una – il che rende assai difficile fare una sintesi e individuare posizioni comuni sulle quali lavorare. Per esempio, sul commercio.

Avanti piano su protezionismo e ambiente. Nel documento conclusivo si fa timidamente cenno a un “intensificarsi” delle tensioni commerciali e geopolitiche, ma senza un’esplicita condanna del protezionismo, stante il “veto” USA. Tuttavia, una nota positiva c’è stata: l’attesissimo vertice bilaterale fra i presidenti di Stati Uniti e Cina, Donald Trump e Xi Jinping, con i risultati che vedremo a brevissimo. Ma, dicevamo, le divisioni interne al G20: la dichiarazione partorita dopo due giorni di summit contiene un riconoscimento dei rischi dei cambiamenti climatici per l’economia globale, con una riaffermazione dell’irreversibilità degli impegni assunti a Parigi, ma senza la firma degli Stati Uniti. Washington ribadisce il ritiro “dagli Accordi di Parigi perché rappresentano uno svantaggio per i lavoratori e i contribuenti americani”. Uno dei punti sul tavolo era l’intossicazione da plastica dei nostri mari e oceani: ebbene, il testo finale menziona l’obiettivo di “ridurre a zero” la contaminazione delle plastiche negli oceani entro il 2050, in quella che è stata denominata la “Visione degli Oceani Azzurri di Osaka”.

Buona notizia: tra USA e Cina riparte il dialogo. Veniamo al bilaterale fra Trump e Xi. La buona notizia è che, dopo ottanta minuti di colloquio, i due presidenti hanno rilanciato i negoziati sul commercio. Ne consegue che, “almeno per il momento”, non scatteranno ulteriori dazi USA sull’import cinese. Il presidente Trump minacciava infatti nuovi dazi, inizialmente del 10%, su 325 miliardi di dollari di esportazioni cinesi, in aggiunta agli oltre 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi già sottoposti a dazi del 25%. La Cina, in cambio, acquisterà merci agro-alimentari dagli USA (secondo un ammontare non specificato). Superata per adesso anche l’impasse su Huawei: il Dipartimento del Commercio dovrebbe affrontare presto la questione delle restrizioni al gruppo. Quello con Xi è stato un incontro “eccellente”, ha detto Trump: le relazioni fra Washington e Pechino sono “tornate in carreggiata”.

Come hanno reagito i mercati? Essendo arrivata la buona notizia che tutti si auguravano, la reazione non poteva che essere positiva. In Giappone, gli indici Nikkei e Topix hanno chiuso in guadagno la seduta di lunedì primo luglio. Nel complesso, bene anche gli altri listini asiatici. Le Borse europee sono partite di slancio: in prima fila, i settori che più hanno sofferto per le tensioni commerciali. In calo, al contrario, i beni rifugio, oro in primis. Sul valutario, lunedì mattina il dollaro USA appariva in generale rialzo contro le principali divise. Fin qui le reazioni “a caldo”. La conclusione della guerra commerciale non è ancora all’orizzonte: ma, come ha detto Xi Jinping, entrambe le potenze economiche hanno da perdere “in uno scontro” e, quindi, il dialogo conviene a tutti.

 

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