Agosto, mese di vacanza? Non per i mercati. Mentre la guerra sui dazi ha infiammato le Borse globali, il governo italiano è entrato in piena crisi politica e la Germania rischia la recessione. Torna la volatilità e i beni rifugio come l’oro guadagnano il podio
Una guerra commerciale “caldissima”. Annunci, tweet, rappresaglie e chi più ne ha più ne metta. Un mese caldissimo e pieno di ribaltoni, che non accennano a scemare. Anche se durante il G7 Trump aveva riferito che Pechino sembrava volere fortemente un accordo, a partire dalla mezzanotte del primo settembre 2019 sono entrati in vigore i dazi statunitensi su 125 miliardi di dollari di beni importati dalla Cina. Immediata la risposta cinese: il Paese asiatico ha imposto tariffe del 5% e del 10% su 75 miliardi di dollari di beni USA. Nel mirino semi di soia, petrolio e medicine. Il resto scatterà il 15 dicembre. Le tensioni hanno subito mandato in rosso le Borse di tutto il mondo: la maggior parte delle azioni asiatiche è scesa e i dati relativi all’industria hanno mostrato un’ulteriore debolezza nel settore manifatturiero cinese.
Il G7 dei buoni propositi. Un G7 inconcludente, ma delle mediazioni: così è stato etichettato dai media globali. I leader si sono scontrati sull’Iran, sulla riammissione della Russia al G7 e sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Il presidente francese Emmanuel Macron riferisce di aver trovato un ottimo accordo con gli USA sull’imposta digitale, la cosiddetta “tech tax”, ma l’unico vero accordo è stato trovato sull’Amazzonia: saranno sbloccati 22 milioni di dollari principalmente al fine di inviare dei Canadair basati nella regione per lottare contro gli incendi che stanno distruggendo il polmone della Terra. Il presidente brasiliano Bolsonaro ha inizialmente rifiutato l’offerta, accettata poi in seguito.
Deal o no deal? Il quesito è sempre quello. Il vertice dei 7 leader mondiali ha visto anche il debutto di “BoJo”, alias Boris Johnson, primo ministro UK. Ottima l’intesa con il presidente Trump, che ha messo sul piatto la possibilità di ottenere un super accordo commerciale con gli States una volta liberato il popolo britannico dalle “catene” europee. Meno conciliante invece quella con il presidente Macron e la cancelliera Merkel: per quest’ultimi è cruciale trovare una mediazione per l’Irlanda, ma ridiscutere l’accordo raggiunto con l’ex primo ministro UK Theresa May è fuori discussione. Johnson ha inoltre annunciato che sospenderà i lavori della Camera dei Comuni inglese per cinque settimane dal 12 settembre in poi, restringendo così il tempo disponibile per i legislatori contrari a un no deal.
Italia in crisi. Con ancora da approvare la nota di aggiornamento al DEF (27 settembre) e con l’importante scadenza per l’invio della bozza della Legge di Bilancio 2020 alla Commissione Europea (15 ottobre), il governo giallo-verde è giunto al capolinea. Si lavora ora a un accordo tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico per la formazione di un nuovo esecutivo con a capo sempre Giuseppe Conte. Si attendono i risultati della piattaforma Rousseau, il portale del Movimento, per il via libera. I mercati intanto non sembrano preoccuparsene. Nonostante momenti di volatilità dallo scoppio della crisi di governo, Piazza Affari va al rialzo: +4,6% nell’ultima settimana del mese. Stesso discorso per il nostro BTP, il cui rendimento è calato ai minimi dal 2016.
La locomotiva europea ha finito la benzina. L’industria tedesca continua a rallentare, come mostrano i dati degli indici PMI e il valore del PIL del secondo trimestre (-0,1% rispetto al trimestre precedente). La banca centrale tedesca prevede un ulteriore calo per il prossimo trimestre, il che significherebbe recessione tecnica. Siamo di fronte a un “too big to fail”? Vedremo, intanto i rischi di un ulteriore contagio nel resto dell’Eurozona non sono da sottovalutare. La Germania ha inoltre emesso per la prima volta un titolo di Stato a 30 anni con rendimento negativo, ma la domanda è stata inferiore alle attese.
L’Argentina rischia il default. Il risultato ottenuto dall’attuale presidente Mauricio Macrì alle primarie presidenziali in vista delle elezioni del 27 ottobre ha portato molta volatilità sui mercati emergenti. Nel giorno successivo alle elezioni, la Borsa di Buenos Aires ha chiuso in calo del 38% e il peso argentino è calato del 15% contro il dollaro USA. Per giunta, Standard & Poor’s ha tagliato i rating creditizi in valuta estera e locale a “default selettivo” dopo che il Paese ha annunciato ritardi nel pagamento di 101 miliardi di dollari di debiti.
La liquidità va verso porti sicuri. Con i rendimenti dell’obbligazionario calanti in quasi tutto il mondo, dopo la conferma da parte di FED e BCE della loro linea d’azione decisamente accomodante, gli investitori tornano a prediligere i beni rifugio come l’oro, le cui quotazioni volano ai massimi da aprile 2013. Buona la domanda anche per il decennale statunitense, il cui rendimento su base settimanale dopo Ferragosto ha registrato il maggiore calo dal 2012, sinonimo di una “caccia” al Treasury.
Borse asiatiche in rosso. Lo yuan è ai minimi da 11 anni e raggiunge il punto più basso da febbraio 2008. In discesa anche la lira turca e le valute asiatiche emergenti, con gli investitori che si sono spostati su asset considerati più sicuri. L’indice Hang Seng di Hong Kong ha risentito delle violente proteste di piazza contro la Cina.
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