La lira turca da inizio anno ha perso il 40% nei confronti del dollaro americano. Tassi invariati e un aumento della spesa pubblica hanno creato un eccesso di offerta e un'inflazione record. E Trump rincara la dose raddoppiando i dazi
L’estate 2018 è stata di vera passione per la Turchia. Lo scorso venerdi 10 agostola lira turca, la moneta ufficiale di Ankara, ha lasciato sul terreno il 14% del proprio valore nei con fronti del dollaro. Non si è trattato di una giornata negativa isolata, ma dell’inizio di una vera crisi: il successivo lunedì13 agosto, infatti, la moneta turca ha toccato un nuovo livello record, oltrepassandoil cambio di 7 lire turche per 1 dollaro E da inizio anno la moneta ha perso, nei confronti del dollaro, quasi il 40% del suo valore.
Un dollaro sempre più forte e l’inflazione galoppa. Il crollo della lira turca è stato senza dubbio uno dei peggiori dell’ultimo decennio tra i Paesi del G20. Quando una moneta perde valore, gli effetti più immediati si hanno sulle importazioni e sulle esportazioni. Le prime diventano incredibilmente costose mentre le seconde sono a buon mercato. Purtroppo la Turchia è un Paese altamente importatore e lo dimostra la propria bilancia commerciale – data dalla differenza tra le importazioni e le esportazioni – negativa. Tutte le merci in ingresso sono diventate molto costose e questa situazione in gergo tecnico viene definita “inflazione importata”. Nel mese di giugno l’inflazione ha toccato il valore record del 15%; in altre parole i beni e i servizi sono più costosi del 15% rispetto a un anno prima. La Banca centrale turca ha annunciato che adotterà “tutte le misure necessarie” per assicurare la stabilità, e questo fa tornare subito alla mente Mario Draghi, che nel lontano 2012 utilizzò la stessa espressione per rassicurare i mercati di fronte alla crisi della zona euro.
La legge della domanda e dell’offerta. La reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, eletto per la seconda volta presidente della Repubblica lo scorso giugno, non si è fatta attendere. Erdoğan ha subito ha incolpato gli speculatori e i nemici internazionali della Turchia per la recente crisi «se loro hanno i dollari, noi abbiamo dalla nostra la gente, la giustizia e Dio». Eppure questa crisi è in parte dovuta proprio alle decisioni del presidente Erdoğan, contrario al rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca centrale e favorevole a un forte aumento della spesa pubblica e degli investimenti statali, come promesso durante i comizi della campagna elettorale. Ebbene l’effetto combinato di questi due elementi comporta un aumento della moneta in circolazione nel Paese; ma se aumenta l’offerta e la domanda resta più o meno stabile, il prezzo – e quindi il valore della moneta stessa – inevitabilmente scende. Semplice legge della domanda e dell’offerta.
Cosa aspettarsi dunque? Una possibile soluzione alla crisi valutaria potrebbe essere quella di aumentare i tassi di interesse di riferimento. Questa mossa porterebbe da un lato alla riduzione dell’offerta di moneta in circolazione e contemporaneamente potrebbe stimolare gli investimenti dall’estero. Purtroppo è opinione diffusa tra gli analisti finanziari che Erdoğan sia abbastanza irremovibile. Inoltre, la posizione della Turchia sul piano internazionale si sta sempre più inasprendo e durante alcuni interventi televisivi il presidente ha parlato di una vera e propria “guerra economica” invitando la popolazione a scambiare tutta la valuta straniera in loro possesso con la lira e rimarcando l’impossibilità di portare avanti relazioni con Paesi che si comportano in modo irresponsabile riferendosi, non tanto indirettamente, agli Stati Uniti. Il motivo? L’effetto Trump.
I dazi di Trump. I rapporti tra Turchia e USA si sono infatti duramente incrinati quando la Turchia ha rifiutato di liberare Andrew Brunson, pastore americano e detenuto in Turchia da quasi due anni. Le autorità del paese hanno infatti arrestato il predicatore evangelico americano e lo hanno accusato di terrorismo e di complicità con gli autori del tentato colpo di stato del 2016. Questo stallo politico internazionale ha portato il presidente Trump a incrementare i dazi, sferrando un duro colpo all’economia turca. “Ho appena autorizzato il raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio nei confronti della Turchia, poiché la sua valuta, la Lira turca, si sta rapidamente deprezzando contro il nostro forte dollaro!”, ha “cinguettato” Trump. Al momento la lira turca è risalita dai minimi, ma i mercati e gli analisti finanziari
Il timore del contagio è dietro l’angolo. Con l’inflazione che galoppa seguendo numeri a due cifre, buona parte dei risparmi turchi sotto il materasso sono stati consumati e bruciati. Inoltre, come succede nei casi di perdita di valore di una moneta, il potere di acquisto in quella moneta è crollato drasticamente. Ma non è un problema solo della Turchia. I mercati finanziari sono sistemi complessi e interconnessi tra di loro. Per questo motivo quando succede qualche evento particolare – anche se geograficamente distante da noi – gli analisti e i gli stessi mercati si mettono in modalità di allerta. Con il crollo della lira turca, i debiti contratti dalla stessa Turchia in valuta estero diventano più onerosi e quindi difficili da ripagare. In un intervento a Bruxelles il portavoce della Commissione UE Christian Spahr ha affermato che l’Unione Europea guarda con molta attenzione la situazione difficile che caratterizza in questi giorni Ankara. I mercati potranno essere ballerini in questo periodo, complice anche l’alta volatilità di agosto ed importante non farsi prendere dal panico e affrontare il mare mosso che si potrebbe prospettare davanti con un portafoglio di investimento diversificato, in linea con i nostri obbiettivi, il profilo di rischio e l’orizzonte temporale.
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