Tassi, la Fed spiega le sue ali da colomba

Nella seconda riunione del 2019 la Federal Reserve ha rispettato le attese in merito alla sostanza, ma nella forma è apparsa ancor più paziente del previsto. Tassi fermi per tutto l’anno, e la riduzione del bilancio si ferma a settembre

Si attendeva una conferma del cambio di passo della Fed e questa conferma, puntuale, è arrivata. Ma i toni sono stati persino più pacifici di quelli previsti. A dicembre, il comitato di politica monetaria della banca centrale USA prevedeva due aumenti del tasso di interesse per quest’anno. Ora invece, insistendo molto su un approccio “paziente” al monitoraggio degli sviluppi economici e alle conseguenti scelte monetarie, i funzionari della Federal Reserve lasciano presagire che nel 2019 non ci sarà alcun incremento del costo del denaro. Il segnale è arrivato mercoledì 20 marzo, nella seconda riunione del 2019, quando la Fed – come largamente atteso – ha lasciato i tassi invariati.

A che punto sono i tassi Fed? Il Federal Open Market Committee (FOMC) – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – ha lasciato i tassi fermi nel corridoio tra il 2,25% e il 2,50%: lo stesso livello di dicembre, quando fu annunciata la quarta stretta del 2018. Ma è interessante soprattutto vedere come nel frattempo è cambiato il “dot plot” della banca centrale, ovvero il grafico che sintetizza le indicazioni dei membri del comitato di politica monetaria sui tassi a fine anno e nei due anni successivi. Queste indicazioni vengono espresse ogni tre mesi – a marzo, giugno, settembre e dicembre – e non è detto che poi si traducano in realtà, perché PIL, lavoro, salari e inflazione “core” (solo per citare i dati macro più decisivi nelle scelte della banca centrale USA) possono sempre sorprendere in positivo così come in negativo.

L’inflazione “core”, al netto delle componenti più volatili (alimentari ed energia), appare ancora sotto controllo e non avrebbe giustificato un aumento dei tassi. D’altra parte, la Fed ha detto che l’economia USA sta rallentando: nel 2019 crescerà, ma meno del 2018.

Le previsioni dei funzionari. Il FOMC ha tagliato le stime di crescita del Prodotto Interno Lordo USA dal 2,3% al 2,1% per quest’anno. Giù anche quelle per il 2020, dal 2% all’1,9%. Il mercato del lavoro, in tutto questo, resta forte: le stime Fed sulla disoccupazione sono sì peggiorate, ma stiamo comunque parlando di un 3,7% nel 2019 e di un 3,8% nel 2020, in assoluto ancora livelli da minimi storici. E attenzione al contesto: Brexit e negoziati commerciali, che creano una serie di rischi. Su Brexit, il presidente Jerome Powell ha detto: speriamo in una soluzione “ordinata”. L’economia europea ha rallentato più di quella cinese, dove è attesa una stabilizzazione a valle delle scelte compiute dalle autorità di Pechino. Ma nel Vecchio Continente è da escludersi una recessione, secondo Powell.

Una normalizzazione tra stop&go. Ecco allora che, rispetto alla riunione del 20 marzo 2018, quando Powell insistette moltissimo sulla necessità di normalizzare i tassi, oggi la Fed appare decisamente più “colomba”. Il “dot plot” prevede zero incrementi del tasso di interesse nel 2019 (contro i due ipotizzati durante la riunione di dicembre), uno solo nel 2020 e ancora zero nel 2021. Questo cambio di passo, che avviene dopo i quattro aumenti del 2018 e i tre del 2017, non è inconsueto. Da quando la Fed si è avviata lungo il percorso di normalizzazione della sua politica monetaria, a fine 2015 (sotto la presidenza di Janet Yellen), gli “stop” si sono regolarmente alternati ai “go”: nel 2016 la banca centrale ha alzato il tasso una sola volta, anche se nel dicembre precedente – quando l’aveva aumentato per la prima volta dal giugno del 2006 – aveva annunciato quattro interventi nel corso dell’anno successivo, idea poi progressivamente abbandonata.

Fine della riduzione del bilancio. E poi c’è tutto il tema della riduzione del bilancio. “Normalizzare”, per la Federal Reserve, significa anche ridurre il suo budget, che il 31 marzo 2008 era inferiore ai 1.000 miliardi di dollari e in seguito, dopo tutte le misure di tipo espansivo messe in atto (inclusi i quantitative easing), è arrivato a toccare i 4.500 miliardi. Ebbene, il 20 marzo 2019 la Fed ha annunciato che la “dieta” diventerà meno rigorosa a maggio per poi terminare a settembre, che vuol dire almeno tre mesi prima delle attese. A fine 2018, il bilancio della Fed era ancora sui 4.000 miliardi di dollari.

Come hanno reagito i mercati? Insomma, una Fed più “colomba” di quanto il mercato non avesse già scontato. E la risposta, nella giornata di mercoledì 20 marzo, è stata quindi la seguente:

  • l’azionario ha tratto beneficio dagli annunci, tanto che Wall Street è tornata in positivo;
  • entusiasmo anche tra gli emergenti: una Fed meno “aggressiva” in genere si porta dietro un dollaro più debole nei cambi con le altre valute, il che è un bene per i Paesi della categoria, il cui debito è denominato appunto in dollari;
  • e infatti il dollaro ha perso terreno in tutti i cambi;
  • il rendimento del T-Bond decennale è sceso ai minimi dal gennaio 2018;
  • sulla curva dei rendimenti USA, giù i tassi su tutte le scadenze;
  • oro e commodities hanno accentuato i guadagni.

Tutto come da protocollo. In attesa dei prossimi sviluppi.

 

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