Le elezioni in Gran Bretagna hanno affidato al conservatore Boris Johnson un mandato forte e chiaro: gestire l’uscita del Paese dall’Unione Europea. Quali sono le prossime tappe di Brexit?
Con la vittoria schiacciante ottenuta da Boris Johnson alle ultime elezioni britanniche, la Brexit è davvero vicina. Il leader dei conservatori, forte del mandato ricevuto dagli elettori, intende stringere i tempi per il definitivo addio del Regno Unito all’Unione Europea. Il calendario delle scadenze è fin troppo serrato e i leader europei già temono di non riuscire a definire tutte le questioni rimaste in sospeso nei tempi indicati da Johnson. Ma procediamo con ordine e vediamo nel dettaglio quali saranno le prossime tappe nel lungo viaggio verso Brexit.
Le prossime tappe di Brexit. La prima data da tenere a mente è il 31 gennaio 2020. Dopo numerosi rinvii, sarà questo il Brexit day che sancirà l’uscita ufficiale del Regno Unito dall’UE. Si tratta di una scadenza più che altro formale: dal primo febbraio partirà infatti un periodo di transizione – che dovrebbe durare almeno fino alla fine del 2020 – durante il quale la situazione, di fatto, rimarrà com’è oggi sul fronte delle leggi e degli accordi internazionali. In pratica, in questa fase Londra continuerà a seguire le leggi dell’Unione Europea, ma non avrà diritto di voto nelle istituzioni comunitarie.
Il punto cruciale riguarda però la seconda tappa, cioè il termine del periodo di transizione. Venerdì 20 dicembre la Camera dei Comuni ha approvato in seconda lettura la proposta di legge sull’accordo di recesso, che consente l’uscita del Regno Unito dall’UE entro il 31 gennaio. Si tratta in realtà di una versione aggiornata, contenente una clausola che, come voleva Johnson, esclude la possibilità che il periodo transitorio possa subire proroghe oltre il 31 dicembre 2020. L’accordo di recesso dall’UE deve ora superare una terza lettura sempre alla Camera dei Comuni, per poi passare a quella dei Lord.
Corsa contro il tempo. I negoziatori avranno quindi undici mesi stiracchiati per definire le nuove relazioni commerciali tra Gran Bretagna e Unione Europea, oltre che per accordarsi su sicurezza, cooperazione nella giustizia e altre materie tecniche. Saranno trattative lunghe e complesse – basti pensare che per approvare il trattato di libero scambio tra l’UE e il Canada, ripetutamente citato da Johnson come modello, ci sono voluti sette anni. La possibilità che non ci sia il tempo sufficiente per concluderle è concreta. Il vicepresidente della Commissione UE Valdis Dombrovskis si è detto preoccupato per le tempistiche ridotte, che rischiano di rendere problematici i negoziati. In così poco tempo, ha detto, alcune cose saranno giocoforza escluse dalla partnership futura.
E torna lo spettro del no deal. Jonhson sembra deciso: il Regno Unito lascerà definitivamente l’Unione Europea il primo gennaio 2021, costi quel che costi. Se lo farà senza un accordo commerciale, il rischio è sostanzialmente lo stesso del no deal sulla Brexit: dazi sulle merci, code a Calais, interruzione della catena del valore, carenza di medicinali nel Regno Unito, introduzione di visti per i cittadini britannici ed europei, stop della cooperazione su terrorismo e criminalità. Insomma, la rottura totale dei rapporti economici e di sicurezza tra Londra e Bruxelles.
Il ritorno dello spettro del no deal non è piaciuto ai mercati, con la sterlina che, dopo l’annuncio del possibile inserimento nel disegno di legge sulla Brexit di una clausula per escludere la possibilità di estendere il periodo di transizione, è crollata del 2,8% rispetto al picco raggiunto a seguito del risultato delle elezioni del 12 dicembre.
Tra preoccupazioni e rassicurazioni. Il sospetto dell’UE è che Johnson voglia trasformare Londra in una specie di “Singapore sul Tamigi” per fare concorrenza sleale al Vecchio Continente a colpi di dumping. “Non accetteremo un accordo commerciale che permette standard più bassi per i nostri consumatori rispetto a quelli previsti nel mercato interno”, ha spiegato il capogruppo del PPE Manfred Weber. “Se vuole avere accesso al nostro mercato, Johnson deve rispettare i nostri criteri per produrre e vendere prodotti”.
Il capo-negoziatore dell’UE Michel Barnier ha comunque promesso di fare il massimo per arrivare a un’intesa con Londra: “Quello che viene definito ‘il precipizio’ non sarà mai la scelta dell’UE. È la ragione per cui lavoreremo con dinamismo e passione per arrivare a un accordo”, ha dichiarato. In caso di tempistiche troppo ristrette, l’Ue potrebbe anche decidere di dare priorità ai settori in cui non c’è un quadro giuridico internazionale che possa fungere da paracadute. In altre parole, potrebbe scegliere di non regolare le relazioni commerciali, contando sul fatto che il Regno Unito dovrebbe comunque sottostare ai dazi del WTO e ai controlli sulle merci alle dogane.
Il nodo della Scozia. I grattacapi per Johnson non finiscono qui. Dopo la sua vittoria alle elezioni, infatti, la Scozia, il cui elettorato si è espresso in maggioranza contro la Brexit, ha aumentato le pressioni per un nuovo referendum sulla sua permanenza nel Regno Unito (ce n’è già stato uno nel 2014). La premier scozzese Nicola Sturgeon, leader del Partito Nazionalista Scozzese, ha dichiarato che presenterà una nuova richiesta di referendum, sottolineando la sconfitta dei conservatori in Scozia e il diritto del popolo scozzese di esprimersi.
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