Tra i risparmiatori in preda all’ansia è corsa alle vendite. Ma proviamo a razionalizzare la situazione.
L’arrivo del coronavirus in Italia ha scatenato un’ondata di panico sui listini azionari (e non solo). Lunedì 24 febbraio, alla riapertura della Borsa dopo la conferma dei primi contagi italiani nel weekend, Piazza Affari è crollata del 5,4%, nella peggiore seduta degli ultimi quattro anni.
Come accade spesso, in tempi di crisi e incertezza i risparmiatori – e quelli italiani in particolare – preferiscono disinvestire e aumentare le proprie riserve di liquidità, perché non si sa mai.
Misure straordinarie. La situazione senza dubbio è seria e l’atmosfera pesante, con le istituzioni che stanno cercando in tutti i modi di limitare il contagio invitando la popolazione a evitare assembramenti e circoscrivendo le aree dei focolai in Lombardia e Veneto. Certo, scuole chiuse, eventi culturali, sportivi, religiosi e sociali annullati, servizi a singhiozzo e aziende deserte pesano sull’umore collettivo.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che diventa sempre più concreta la possibilità che, con il rallentamento “forzato” dell’attività economica a causa del virus, l’Italia vada incontro a una recessione tecnica, registrando una contrazione del PIL anche in questo primo trimestre 2020, dopo il -0,3% del quarto trimestre 2019.
Così il panico si insinua tra le pieghe della vita quotidiana: basti pensare agli scaffali svaligiati domenica 23 febbraio in alcuni supermercati milanesi che, mutatis mutandis, assomiglia molto alle vendite massicce registrate a Piazza Affari.
Che fare con i propri investimenti? I più sensibili a questo tipo di argomento – che però non ha alcuna base scientifica, ed è bene tenerlo sempre a mente – potrebbero pensare addirittura che queste cose succedano sempre e inevitabilmente negli anni bisestili (così la crisi finanziaria globale nel 2008, la recessione nel 2012, la Brexit nel 2016 e ora il coronavirus). La cosa importante è che, come in tutti gli altri casi, anche questa è un’emergenza che può rientrare, e ciò vale in primis per i mercati.
Insomma, fra tante incognite una cosa è certa: lasciarsi prendere dall’ansia non è mai la scelta più saggia, soprattutto quando si parla di investimenti. Proviamo allora, per quanto difficile in una simile situazione, a fare uno sforzo di lucidità e razionalità.
Un po’ di storia per calmare i nervi. Tanto per cominciare, è bene tenere a mente che i mercati vanno su e giù da sempre, è nella loro natura. Ma la storia ci insegna che, dopo ogni bufera, per quanto intensa possa essere stata, torna sempre il sereno. Nel corso degli ultimi 118 anni, dati alla mano, in media ogni anno il premio al rischio del mercato azionario americano è stato del 7,5%, a fronte di una volatilità del 19,5%. Per “premio al rischio”, lo ricordiamo, s’intende la differenza tra il rendimento offerto da un titolo o mercato azionario rispetto a un altro titolo o mercato ritenuti meno rischiosi nello stesso arco di tempo.
Perciò storicamente il mercato azionario globale ha remunerato piuttosto bene chi ha accettato di prendersi qualche rischio. E nell’ultimo secolo i momenti di crisi – e i conseguenti crolli sui mercati – non sono sicuramente mancati. Pensiamo alla crisi del 1929, alla crisi petrolifera del 1973/1974, alla bolla tecnologica degli anni 2000 e alla crisi del 2008: tutte situazioni in cui i mercati azionari hanno registrato perdite drammatiche.
Tuttavia, anche se le ferite ci mettono un po’ a rimarginarsi, i mercati tendono a recuperare le perdite in fretta. Gli strascichi della crisi del 2008 si fanno sentire ancora oggi, eppure tutti quei risparmiatori che sono rimasti fuori dal mercato si sono persi uno dei più longevi bull market della storia
Morale della favola. Affrettarsi a vendere non è quindi la scelta più lungimirante. Sarebbe meglio fare un bel respiro e concentrarsi sui propri obiettivi di lungo termine, aspettando che la tempesta passi anche questa volta. Anzi, per i più arditi vale la pena di ricordare che, nei periodi in cui i listini vanno giù, può risultare più conveniente acquistare titoli e/o fondi in virtù del loro minor costo.
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