In alcuni Paesi asiatici è prassi, in Occidente se ne parla: l’uso dei dati degli smartphone per monitorare gli spostamenti dei cittadini è una misura utile o una violazione delle libertà individuali?
In Cina e in Corea del Sud – ne abbiamo avuto l’ennesima conferma con la gestione dell’epidemia di coronavirus – non ci si fanno poi grandi scrupoli quando si tratta di limitare la libertà o la privacy della popolazione. Non a caso in entrambi i Paesi stanno già utilizzando i metadati provenienti dagli smartphone dei cittadini per cercare di contrastare la diffusione del contagio: non solo per verificare che le persone rispettino la quarantena, ma anche per permettere a tutti coloro che scaricano l’apposita app di visualizzare direttamente sulle “mappe” – questo in Cina, dove il servizio è offerto da Baidu – se nelle vicinanze sta passando un malato, in modo da poter correggere il proprio percorso per non incontrarlo.
Un sistema efficace, non c’è dubbio. Ma che pone seri problemi di privacy – il nome del malato naturalmente non compare, ma non è difficile scoprire la sua identità, specialmente nei Paesi più piccoli.
E in Occidente? La possibilità di tracciare gli smartphone dei cittadini è al vaglio delle autorità anche negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa: qui la questione però è più spinosa, perché la privacy è un valore molto più sentito e rispettato e il limite tra necessità di contrastare l’epidemia e violazione della sfera personale è quanto mai difficile da tracciare.
Negli USA, il governo si sta confrontando sul tema con Google, Facebook e altre compagnie tecnologiche oltre che con gli esperti sanitari. In particolare, sarebbe al vaglio la possibilità di usare i dati sulla localizzazione, in forma anonima e aggregata, per mappare la diffusione del contagio e per controllare se le persone stanno mantenendo le distanze di sicurezza.
“Stiamo valutando i modi in cui le informazioni aggregate e anonime sulla posizione potrebbero aiutare nella lotta contro il nuovo coronavirus”, ha detto il portavoce di Google Johnny Luu. “Un esempio potrebbe essere quello di aiutare le autorità sanitarie a determinare l’impatto del distanziamento sociale, in maniera simile al modo in cui mostriamo i tempi di attesa dei ristoranti popolari e i modelli di traffico in Google Maps”, ha spiegato, assicurando che non sarebbero condivisi i dati di singole persone.
Veniamo all’Italia. Dopo il via libera all’utilizzo dei droni da parte delle forze dell’ordine per monitorare gli spostamenti delle persone (e individuare chi non rispetta le direttive anti-contagio), nel Belpaese è in corso un confronto anche sulla possibilità di usare i dati di geolocalizzazione presenti sugli smartphone per tracciare gli spostamenti.
Una prima sperimentazione è già partita in Lombardia, dove da alcuni giorni la Regione utilizza un sistema per analizzare gli spostamenti della popolazione durante l’epidemia, attraverso una collaborazione con i principali operatori di telefonia mobile. Stando alle informazioni fornite dalla Regione stessa, i dati sono raccolti in forma aggregata e anonima e permettono di farsi un’idea sulle distanze percorse da chi si muove con un cellulare in tasca, in modo da verificare il rispetto delle restrizioni sugli spostamenti in ottica anti-contagio.
E la normativa sulla privacy? Il regolamento per la protezione dei dati nell’Unione Europea (GDPR) offre tutele e protezioni per ogni cittadino, ma prevede eccezioni per casi di emergenza e di utilità pubblica. Insomma, l’impiego di dati aggregati sulle reti cellulari che sta conducendo la Regione Lombardia sembra rispettare le regole. Ma possibili iniziative di ulteriore controllo potrebbero scontrarsi effettivamente con le esigenze di tutela della privacy. Un esempio già in discussione? La creazione di app da scaricare sul proprio smartphone che, sfruttando i dati di geolocalizzazione, sarebbero in grado di capire quante persone siano venute a contatto con un contagiato.
Il presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha dato parere positivo in merito, ma ha invitato l’esecutivo a proporre una normativa chiara. Un sistema di tracciamento come quelli ipotizzati, ha spiegato Soro, “non porta a una sospensione della privacy, ma consente di adottare strumenti efficaci di contenimento del contagio, nel rispetto dei diritti dei cittadini. Vanno studiate però attentamente le modalità più opportune e proporzionate alle esigenze di prevenzione, senza cedere alla tentazione della scorciatoia tecnologica solo perché apparentemente più comoda, ma valutando attentamente benefici e costi, anche in termini di sacrifici imposti alle nostre libertà”.
Una questione delicata. C’è poi un altro importante aspetto da tenere in considerazione: una volta passata l’emergenza, istituzioni e gestori di siti potrebbero trovarsi in mano una mole enorme di informazioni sugli spostamenti dei cittadini: come impedire che queste vengano poi impiegate per scopi diversi da quelli per cui erano state raccolte?
Insomma, si sta cercando il modo di conciliare rispetto delle libertà individuale e tutela della salute pubblica, entrambi temi particolarmente delicati ed entrambi di assoluto rilievo: trovare un compromesso virtuoso non è banale e merita attente riflessioni, seppure in tempi che dovranno essere necessariamente rapidi.
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