Cachondo Vegano è più di un profilo Instagram. È il progetto divertente che spiega in modo scanzonato come seguire una dieta vegana mangiando con gusto. Il suo creatore Matteo Barbé ci racconta com'è nata l'idea
Potresti aver incrociato su Instagram Cachondo Vegano cercando ricette a base vegetale, consigli sullo stile di vita vegano, pillole di filosofia antispecista, indirizzi di posti da provare. Possiamo affermare che sia uno dei profili interessanti da seguire in Italia per chi cerca una strada per alimentarsi in modo più sostenibile. Ma chi è Cachondo Vegano?
Si tratta del progetto dell’ attore teatrale, speaker e performer di Novara, ormai milanese di adozione, Matteo Barbè. «Cachondo Vegano è una parte della mia identità, alla quale applico la mia conoscenza attoriale e il mio modo di comunicare, per far arrivare un messaggio che ritengo importante. Senza recitare, ma portando quello che sono», spiega Matteo.
La bio su Instagram di Cachondo è:
«Vegan is sexy – vado nelle steak house e chiedo se c’è il tofu»
Una sintesi perfetta del suo stile ironico, dissacrante, scanzonato. E il suo approccio inclusivo, divertente e mai colpevolizzante è il motivo per cui lo seguono anche tanti onnivori: Matteo ha fatto delle scelte di vita precise, ma in fondo sa che la vita è complicata e tutti devono fare compromessi.
Se ti interessa muovere i primi passi nel mondo plant-based, puoi approfondire anche la storia di Luisa Manfrini, la food designer che ama le piante.
Credits: @cachondovegano
Partiamo dall’inizio: come sei diventato vegano?
«Da bambino ero molto legato all’ambientalismo dei piccoli, il non buttare le cose a terra, l’attenzione agli animali. Mi era già istintivamente chiaro quel paradosso di vivere in una società in cui tutti dicono di amare gli animali ma poi se ne cibano. Ero un bambino di città, fui sconvolto dalla vista fatta durante una vacanza di un capretto appeso che colava sangue prima di essere cucinato per cena. Mi turbò così tanto che decisi di diventare vegetariano».
Quanti anni avevi?
«Ne avevo solo dieci, quindi non avevo gli strumenti per esserlo, e non potevo certo fare la spesa da solo. Il compromesso dei miei genitori fu che avrei fatto quello che volevo da adulto, ma fino a quel momento avrei mangiato quello che mangiavano loro. Poi è stato un lungo percorso, che è passato dalla convivenza con un amico vegetariano e dalla pandemia, che mi ha dato il tempo per cercare gli strumenti giusti per diventare vegano e rendere piacevole quello stile di vita. Volevo che corrispondesse a quello che sono: una persona che ama mangiare e cucinare».
Il primo assaggio di comunicazione digitale per Barbè fu il suo blog su Tumblr, intitolato Un vegetariano a Milano, una insolita guida per trovare cibo vegetariano buono nei locali per onnivori.
«Nei ristorante vegani era troppo facile, la vera sfida per me era la steak house».
Il progetto ebbe un certo seguito e permise a Matteo di capire il potenziale di divulgazione di questi strumenti, la possibilità di far viaggiare la sua voce e le sue idee e costruire una versione divertente e appagante dell’essere vegani. Come diceva uno dei padri dei Verdi italiani, Alexander Langer: «un vero cambiamento ecologico sarà possibile solo quando sarà anche desiderabile» e Barbè ha provato a farlo sull’alimentazione. Poi sono arrivati i lockdown causati dalla pandemia, che hanno trasformato il suo stile di vita da vegetariano a vegano e hanno reso temporaneamente inutile una pagina sui ristoranti. Nasce così Cachondo Vegano, una specie di seconda identità online con lo scopo di raccontare il veganismo in modo non stereotipato.
Credits: @cachondovegano
Come hai scelto il nome per il tuo alter ego digitale?
«Cachondo in spagnolo vuol dire “arrapato”. È una cosa che mi fa ridere, una sonorità che mi piace, un modo per raccontare il mio modo di essere vegano, una semantica del desiderio godereccia, unta, non necessariamente salutista. E poi era auto-ironico, un modo per non prendermi troppo sul serio in un mondo come il food nel quale tutti lo fanno anche troppo. Nella mia community ormai cachondo è diventato parte del nostro gergo, a volte dei follower mi inviano foto di piatti che hanno preparato con didascalie come: “Oggi ho fatto una pasta proprio cachonda”».
Col tuo profilo Instagram cerchi di fare proselitismo?
«È un tema delicato, perché quando credi tanto in qualcosa, vuoi portare più persone possibile a vedere le cose come le vedi tu. Per me ci sono temi in cui c’è una risposta giusta e una sbagliata e lo specismo ne è uno, non è una questione di avere un’opinione. D’altra parte mi rendo che la nostra società è così permeata che è difficile non essere onnivori, lo si è per abitudine e non per cattiveria. Sto leggendo un libro, si intitola “In viaggio per veganville“, di Tobias Leenaert: parla di un approccio gentile, perché essere aggressivi è respingente. Anche io cerco un modo gentile di esprimermi, voglio solo mostrare che esiste un’alternativa, che può essere piacevole, che non è per forza una rinuncia, e anche che la cultura vegana nei paesi mediterranei è sempre esistita, solo che non si chiamava “cultura vegana”».
L’attività di divulgazione di Matteo Barbè confina con l’attivismo, per esempio quando presta la voce a progetti come Esseri Animali, la ONG che da dieci anni combatte gli abusi contro gli animali da allevamento con indagini e inchieste. Matteo è diventato un loro speaker e la voce di molti dei video di denuncia è la sua. «Mi sento dentro la causa e mi piace fare il possibile, ma da qui a definirmi attivista ce ne vuole, conosco persone che lo fanno davvero e meritano tutta la mia stima».
Nella sua multiforme attività c’è anche GreenTosi, un podcast di cultura vegana nel quale è entrato a partecipare dopo un’intervista come ospite.
Credits: @cachondovegano
Il podcast è uno degli strumenti di divulgazione più usati oggi. Che consigli daresti a chi ci vuole provare?
«Noi proviamo a farlo sembrare sempre una chiacchierata tra amici davanti a una birra: ridanciana, rilassata. Nel momento in cui si hanno dei contenuti da comunicare, la naturalezza è la strada migliore. Un podcast non deve per forza essere pulito e perfetto, la ruvidità può essere verace, non mi piacciono i podcast troppo impostati».
E gli hater, ci sono? Come ti regoli con loro?
«È una cosa piuttosto rara, pochissime persone arrivano a gamba tesa, al massimo qualche foto di grigliata su Facebook sotto i miei post, cose sterili ma innocue. La cosa più strana mi è successa quando ero ancora vegetariano: Vice mi chiamò per un dibattito con dei carnivori, che fu assolutamente civile e pacato, ma poi il video è stato caricato su YouTube e sono arrivati dei commenti agghiaccianti. I miei hater sono tutti sotto quel video».
Progetti per il futuro? Magari per incrociare ancora di più la tua attività di attore con la divulgazione?
«Di recente sono stato a un festival teatrale sul cibo e non c’era nemmeno uno spettacolo sulla scelta vegetale. Mi piacerebbe fare qualcosa in questa direzione, uno spettacolo che parli di questa scelta nel modo in cui lo faccio io».
Hai mai accarezzato l’idea del veganismo? Se invece hai scelto questo stile di vita, cosa ti ha spinto?
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