Great Resignation e Quiet Quitting sono fenomeni che esprimono il disagio dei lavoratori di oggi: ecco come puoi lavorare meglio senza cadere in queste trappole
Il mondo del lavoro sta vivendo un momento di profondo cambiamento, indotto anche da un mutato contesto sociale ed economico, conseguenza di oltre due anni di pandemia e gravi crisi internazionali. Questa rivoluzione vede da un lato l’apertura a tanto agognate modalità di smart working e remote working, che ti permettono ad esempio di lavorare da un’altra città o da una località di vacanza (ne abbiamo parlato qui). D’altra parte, però, separare le ore di lavoro dalla vita privata è ancora, se non più, difficile. Molti, forse anche tu, si stanno chiedendo se tutto questo abbia davvero senso.
E proprio da questa perdita di senso nascono due fenomeni globali dalle dimensioni sempre più rilevanti: la Great Resignation e il Quiet Quitting. Vediamo insieme di che si tratta.
Great Resignation e Quiet Quitting: cosa sono?
La Great Resignation è un’ondata di dimissioni volontarie che sta avvendo ovunque nei settori più disparati: secondo uno studio della società di consulenza McKinsey, quasi il 40% dei lavoratori a livello mondiale sta pensando di lasciare il proprio lavoro, anche senza avere un’alternativa.
Il Quiet Quitting invece, che potremmo tradurre con “abbandono silenzioso” è più sfuggente: la definizione nasce sul social network TikTok e racchiude diverse sfumature: dal mettere precisi paletti nel perimetro e nelle ore dedicate al proprio lavoro, al fare il minimo indispensabile per mantenere il posto senza rischiare il licenziamento, nello stile del classico “tirare le remi in barca”.
Sono due fenomeni ben presenti in Italia perché, secondo il Secondo il 5° rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, più 8 lavoratori su 10 si dicono insoddisfatti e – ben più grave – il 23% degli intervistati ritiene che la situazione può solo peggiorare.
Anche tu ti senti demotivato o stai meditando di mollare tutto? Vediamo insieme perché e cosa puoi fare.
Burnout: un problema comune alla base
Tra le cause principali che inducono a dimissioni e Quiet Quitting, c’è il cosiddetto burnout, uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale che coinvolge sempre più persone.
Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di Psichiatria, su Fortune Italia definisce il burnout com “un profondo, drammatico squilibrio tra risorse esistenti e compiti richiesti all’essere umano”.
Una situazione comune nella maggioranza delle famiglie italiane, dove “è evidente un grande squilibrio fra compiti, funzioni, obblighi, doveri e risorse disponibili. A tutti i livelli: pensiamo per esempio alle lavoratrici madri”.
Secondo i dati del rapporto Censis-Eudaimon il 40% degli italiani afferma di non disporre del tempo libero dopo il lavoro. Di Giannantonio ha provato a ricostruire perché sia diventata una condizione tanto comune: negli ultimi decenni il “contratto psicologico” tra datore di lavoro e dipendente è cambiato: da “transazionale” è diventato “relazionale”. E cioè, se prima ai lavoratori veniva chiesto di eseguire compiti precisi, in una finestra di tempo circoscritta (in Italia dalle 9 alle 18), oggi i capi chiedono di essere creativi, dare contributi originali, accettare sfide per migliorare i risultati dell’azienda.
Di per sé questi obiettivi rendono il lavoro meno meccanico e alienante, ma richiedono un maggiore sforzo cognitivo, orari lavorativi più lunghi e una cultura aziendale in grado di riconoscere e premiare questi sforzi. Se ciò non succede, ecco che si perde il coinvolgimento verso la propria organizzazione e può subentrare il burnout.
Apri un canale di comunicazione col capo
Se sei in burnout è facile che il risentimento che provi nei confronti della tua organizzazione prevalga su qualunque ricerca di compromesso. Devi invece sforzarti di trovare un canale ufficiale per esprimere in maniera trasparente ciò che non va con chi ha potere decisionale, in un modo – appunto – “relazionale”.
Per esempio, trovare il coraggio di chiedere un miglioramento delle condizioni economiche per far sì che i tuoi sforzi vengano riconosciuti o mettere in chiaro la necessità di avere più tempo per te. Ma attenzione: molti career coach sostengono che questo tipo comunicazione non è efficace se è una tantum. Quindi devi chiedere la disponibilità ad appuntamenti regolari, in cui discutere dei tuoi risultati e anche del tuo benessere. Questo tipo di colloqui fa parte del DNA di una cultura aziendale sana ma, se dovessi trovare resistenze, prima delle dimissioni al buio o dell’“abbandono silenzioso”, puoi tentare il punto successivo.
Mantieni un atteggiamento di apertura
Tra i segnali più comuni del quiet quitting c’è una sorta di resistenza passiva che porta – per esempio – al non presentarsi alle riunioni o al non rispondere alle e-mail. Sono atteggiamenti che solo in apparenza danno maggior respiro, ma in realtà avvelenano il clima anche nei confronti dei colleghi che – magari – contavano su di te.
Prova invece a suggerire orari alternativi per i meeting, in uno spazio di tempo in cui sei più fresco. Oppure, se non sei presente, chiedi a un collega il sunto della riunione, per poter dare comunque il tuo contributo. Cerca di rispondere sempre alle e-mail e ai messaggi, e – anche se le richieste ti sembrano irragionevoli – proponi e motiva le alternative. Questo comportamento genera solidarietà con i tuoi colleghi, che saranno maggiormente disposti ad aiutarti quando sei in difficoltà.
Prendi il controllo del tuo tempo
Infine, avrai sicuramente sentito parlare di diritto alla disconnessione. È qualcosa che puoi negoziare con il tuo capo e i tuoi colleghi per riservare finestre di tempo solo per te. Sta a te riservarti momenti della giornata in cui preferisci non essere contattato, per poterti concentrare e ricaricare. Anche in questo caso la chiave è la comunicazione: anziché staccare il telefono e le chat aziendali prova a essere trasparente, spiegando attraverso i canali aziendali, che in quell’ora sarai concentrato su un’attività specifica (in questo modo anche il tuo capo lo saprà) oppure che hai bisogno di staccare e informa quando tornerai disponibile.
Non funziona? Guardati intorno
Può essere che queste accortezze non siano sufficienti. Purtroppo le dimissioni e l’adozione del Quiet Quitting prosperano in ambienti lavorativi senza una cultura aziendale definita o, addirittura, con una cultura tossica. Non è un caso che la maggior parte degli articoli su questi temi siano indirizzati ai manager.
Se questi fenomeni sono conseguenze estreme, le cause sono sfaccettate. Senza la giusta consapevolezza, quindi, puoi ritrovarti a prendere decisioni drastiche che non allontaneranno né lo stress né il senso di frustrazione, come sottolinea un articolo sul blog Alley Oop del Sole 24 ore.
Se ritieni che la scelta migliore sia trovare un nuovo posto di lavoro, ricorda sempre di non fare scelte avventate e datti sempre il tempo per cercare altrove un’occupazione che possa darti serenità e il riconoscimento che cerchi.
Hai notato un aumento dello stress sul lavoro? Quali sono gli antidoti più efficaci per te?
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