L’incertezza politica e la fragilità del sistema bancario tricolore limitano il potenziale di crescita della Penisola
L’economia italiana cresce, ma fatica a mantenere il passo con le altre nazioni europee. Secondo i dati riportati dall’Istat, nel quarto trimestre 2016 il Pil è cresciuto del +0,2% su base trimestrale e del +1,1% su base annuale. Tuttavia, il ritmo di crescita è stato inferiore alle attese e minore rispetto al terzo trimestre. Nel corso dell’intero 2016 il Pil è cresciuto dell’1,0% (corretto per gli effetti di calendario), prevalentemente grazie al sostegno della domanda interna, ovvero consumi e investimenti.
Prospettive e sfide per il biennio 2017-2018 L’Italia ha chiuso il 2016 con il tasso di crescita più alto degli ultimi sei anni, eppure non è tutto oro quello che luccica. Infatti, in un contesto generale di graduale ripresa, l’Italia rimane il fanalino di coda dell’Unione Europea: secondo le previsioni invernali della Commissione Europea, il Pil dovrebbe crescere del +0,9% nel 2017 e del +1,1% nel 2018.
Per la Commissione Europea, il futuro e la crescita dell’Italia sono in bilico per via dell’incertezza politica, che limita l’azione di Governo, e della fragilità del sistema bancario, che frena l’espansione del credito. Se per tutto il 2016 la bassa inflazione è stata un fattore di sostegno alla domanda interna, nel biennio successivo questo fattore potrebbe venire meno. Infatti, l’inflazione dovrebbe tornare a crescere per via della stabilizzazione dei prezzi delle materie prime. Dal lato dei conti pubblici, il rapporto debito pubblico / Pil dovrebbe stabilizzarsi intorno al 133% per tutto il biennio, nonostante un tasso di crescita del Pil intorno all’1,0%. E questo potrebbe essere un punto dolente, perché se le previsioni di crescita venissero riviste al ribasso, la salute fiscale del Paese potrebbe deteriorarsi ulteriormente, con eventuali conseguenze su spread e rendimenti obbligazionari. Una crescita troppo lenta può innescare un circolo vizioso un po’ pericoloso per l’economia di un paese. Un Paese ‘pigro’ sotto il punto di vista della crescita non solo non attira gli investimenti esteri, ma non stimola nemmeno gli investimenti da parte delle stesse aziende nazionali, investimenti che sono necessari per far ripartire l’economia interna. Questo può avere anche ripercussioni sul mercato del lavoro e quindi sul tasso di disoccupazione che può peggiorare. Ma se le imprese non crescono anche il mercato azionario, espressione della realtà aziendale, rischia di rimanere ugualmente in stallo. Infine, un Paese che cresce a rilento fatica a ripagare i propri debiti e tale rischio si può riflettere sul mercato obbligazionario, attraverso un aumento dei rendimenti e dello spread.
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