Politica monetaria: cos’ha deciso la banca centrale?

Cambia la strategia sull’inflazione e la politica monetaria rimane ampiamente accomodante: obiettivo, contrastare gli effetti della pandemia

Ti sei mai chiesto a cosa servono le banche centrali? Di sicuro, in tutti questi anni ne avrai sentito abbondantemente parlare. Alle banche centrali spetta il compito di gestire la politica monetaria dell’area economica che ha in uso quella determinata moneta: abbiamo la Riserva Federale negli Stati Uniti e la Banca Centrale Europea nell’area euro, per dire. Non si tratta semplicemente di “stampare moneta”, tipo Totò ne “La banda degli onesti”. Occorre che quella moneta, messa in circolo attraverso gli opportuni mezzi, non perda valore.

E cos’è che minaccia il valore di una moneta? Esatto: l’inflazione. Che, come sai, consiste in un rincaro dei prezzi di ampia portata, che non si limita cioè a una, due o poche voci di spesa.

L’inflazione fa sì che un’unità di moneta consenta di accedere a una minor quantità di beni e servizi: insomma, il valore reale dell’unità di moneta cala rispetto al passato.

E allora immagina i vertici della banca centrale come controllori del traffico aereo. La moneta è il velivolo e l’inflazione è l’altitudine di volo: affinché il velivolo mantenga la sua stabilità, bisogna che l’altitudine non superi un certo livello. Però, attenzione: parlando di politica monetaria le cose non stanno sempre così.

La Banca Centrale Europea ha rivisto la sua strategia

Prendiamo la Banca Centrale Europea, per esempio. Un tempo – per esser precisi, dal 2003 – riteneva che l’altitudine dell’inflazione, onde poter garantire la stabilità del volo della moneta, dovesse essere “inferiore ma vicina al 2% nel medio termine”. L’idea era che un’inflazione stabilmente elevata fosse cosa cattiva e tutta una serie di decisioni, in passato, partivano proprio da questo presupposto. Poi sono subentrate le crisi: quella finanziaria del 2008, quella del debito sovrano del biennio 2011-2012, e infine la crisi economica Covid-correlata. Fuori dagli uffici delle banche centrali lo scenario è profondamente mutato e le banche hanno dovuto prenderne atto. La BCE, dal canto suo, lo ha fatto il 22 luglio quando, nella riunione di politica monetaria del consiglio direttivo, ha dato corpo a una svolta da tempo annunciata.

Diciotto anni dopo l’ultima revisione, avvenuta appunto nel 2003, il consiglio direttivo ha ufficializzato quanto segue: e cioè che il suo faro non sarà più un’inflazione “inferiore ma vicina al 2% nel medio termine” ma “un obiettivo di inflazione simmetrico nel medio termine”. Non è una revisione da poco. Cosa vuol dire? Vuol dire che la banca centrale d’ora in avanti accetterà deviazioni dal 2% sia in basso che in alto, purché siano nel breve termine e aiutino a raggiungere il target del lungo periodo. In altre parole, occhio all’altitudine non solo quando supera stabilmente un certo livello ma anche quando va stabilmente sotto quel certo livello. Tutto questo, in pratica, apre la strada a una Banca Centrale Europea pronta a tutto.

Confermati i tassi d’interesse vicini allo zero

Il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali e i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale sono rispettivamente confermati allo 0%, allo 0,25% e al -0,50%. “A sostegno del suo obiettivo simmetrico di inflazione al 2% e in linea con la sua strategia di politica monetaria”, si legge sul comunicato stampa, “il consiglio direttivo si aspetta che i principali tassi di interesse della BCE rimangano ai livelli attuali o inferiori finché non vedrà l’inflazione raggiungere il 2% ben prima della fine del suo orizzonte di proiezione e in modo duraturo per il resto dell’orizzonte di proiezione”.

Sempre il consiglio direttivo “giudica che il progresso realizzato nell’inflazione sottostante sia sufficientemente avanzato da essere coerente con la stabilizzazione dell’inflazione al 2% nel medio periodo”. Ma ciò può anche implicare “un periodo transitorio in cui l’inflazione è moderatamente al di sopra dell’obiettivo”.

La Banca Centrale Europea non disinstalla l’APP

Gli acquisti netti nell’ambito dell’Asset Purchase Programme (APP) – il programma di acquisto di asset che rientra tra le misure non convenzionali della Banca Centrale Europea – proseguiranno al ritmo mensile di 20 miliardi di euro: il consiglio direttivo continua ad aspettarsi che gli acquisti netti mensili di attività nell’ambito dell’APP vadano avanti per tutto il tempo necessario a rafforzare l’impatto accomodante dei suoi tassi e che terminino poco prima di iniziare ad aumentare i tassi d’interesse principali della BCE.

Il board intende anche continuare a reinvestire per intero i pagamenti dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito dell’APP per un lungo periodo di tempo dopo la data in cui inizierà ad aumentare i tassi di interesse principali della BCE, “e in ogni caso per tutto il tempo necessario a mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario”.

Avanti tutta con gli acquisti sotto il cappello del PEPP

Non finisce qui. Il consiglio direttivo continuerà anche a effettuare acquisti netti di attività nell’ambito del PEPP, il Pandemic Emergency Purchase Programme, con una dotazione complessiva di 1.850 miliardi di euro almeno fino alla fine del marzo 2022. E in ogni caso finché non giudicherà superata la fase di crisi del coronavirus. E dal momento che le informazioni raccolte hanno confermato la valutazione sulle condizioni dei finanziamenti e sulle prospettive di inflazione effettuata nella riunione di politica monetaria di giugno, il consiglio direttivo ha anche ribadito la previsione secondo cui gli acquisti nell’ambito del PEPP nel trimestre in corso “saranno condotti a un ritmo significativamente più elevato rispetto ai primi mesi dell’anno”.

Il consiglio direttivo effettuerà gli acquisti in modo flessibile, in base alle condizioni di mercato. E se da una parte la dotazione del PEPP non deve per forza essere utilizzata per intero, dall’altra “può essere ricalibrata se necessario per mantenere condizioni di finanziamento favorevoli per aiutare a contrastare lo shock pandemico negativo sul percorso dell’inflazione”. Il consiglio direttivo continuerà a reinvestire i rimborsi dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito del PEPP almeno fino alla fine del 2023. “In ogni caso, il futuro roll-off del portafoglio PEPP sarà gestito in modo da evitare interferenze con l’appropriato orientamento di politica monetaria”.

Fari puntati sul credito alle famiglie e alle imprese

Il consiglio direttivo andrà infine avanti a fornire ampia liquidità attraverso le sue operazioni di rifinanziamento. In particolare, “la terza serie di operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO III) rimane una fonte interessante di finanziamento per le banche, sostenendo i prestiti a imprese e famiglie”.

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