I tempi del QE sembrano volgere al termine e il mercato si prepara alla prossima sfida di Draghi: riportare la politica monetaria sui vecchi binari senza danneggiare l’economia
In poco meno di un anno la situazione della zona euro sembra capovolta: a marzo 2016 l’inflazione della era vicino allo zero e incombeva il rischio deflazione, oggi l’inflazione è vicino all’obiettivo della Banca Centrale (intorno al 2,0%), e trimestre dopo trimestre i dati economici sono sempre più positivi tanto da spingere il consensus ad aumentare gradualmente le aspettative di crescita per il 2017. Chi l’avrebbe mai detto.
La politica espansiva non è infinita. Da fine marzo il QE della BCE scenderà di 20 miliardi e salvo modifiche dell’ultima ora il programma di espansione monetaria dovrebbe terminare entro fine anno. Perciò, se il tour di elezioni europee non rimetteranno in discussione il progetto europeo, la BCE dovrà prima o poi chiarire come intende procedere verso alla normalizzazione dei tassi d’interesse, ovvero definire la strategia di uscita (exit strategy) da una politica monetaria decisamente accomodante ed espansiva.
In attesa che la BCE chiarisca la sua posizione, gli osservatori iniziano a speculare sui prossimi passi, in particolare l’exit strategy deve tenere conto di tre punti critici.
Il timing è importante. Negli ultimi mesi, l’inflazione di riferimento è salita enormemente, ma tale impennata dei prezzi al consumo potrebbe essere dovuta al recupero delle materie prime. Il sospetto è piuttosto forte perché il tasso d’inflazione al netto delle componenti più volatili (prezzi energetici e alimentari) è rimasto invariato. Se la BCE decidesse di mettere un freno troppo presto all’espansione monetarie rischierebbe di allontanare il graduale avvicinamento verso il target del 2,0%.
Il tasso di cambio potrebbe limitare le esportazioni. La politica espansiva della BCE ha contributo ad alleggerire il peso del cambio ed ha favorito la crescita delle esportazioni; nel momento in cui la BCE decidesse di intervenire aumentando i tassi, l’euro potrebbe tornare ad apprezzarsi riducendo lo stimolo espansivo delle esportazioni. Questo è dovuto al fatto che un aumento del valore dell’euro renderebbe i nostri prodotti più costosi rispetto a quelli degli altri paesi e quindi meno convenienti.
Un aumento dei tassi rende il denaro più costoso. L’aumento dei tassi si ripercuoterebbe sulla curva dei rendimenti obbligazionari facendo aumentare il costo del denaro, che fino ad ora è rimasto ai minimi storici. Se così fosse la BCE rischierebbe di penalizzare gli investimenti in un momento in le imprese sembrano più fiduciose sul futuro.
Anno nuovo, sfide nuove. Man mano che la zona euro allunga il passo la BCE si troverà ad affrontare la prossima sfida: riportare la politica monetaria sui vecchi binari senza danneggiare l’economia. Qualsiasi exit strategy la BCE decida d’intraprendere dovrà ponderare con attenzione rischi e benefici di ogni azione. I mercati sono li pronti ad aspettarla.
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