Incontrando i colossi del settore, il presidente degli Stati Uniti rilancia la proposta di dazi sulle importazioni di vetture prodotte fuori dagli USA. Ferrari, che non ha stabilimenti negli States, potrebbe essere tra i marchi più penalizzati
Ormai lo sappiamo: la mano di Trump può essere piuma o può essere ferro, per citare un classico del cinema nostrano come “Bianco, rosso e verdone”. Se da una parte il presidente degli Stati Uniti d’America fa una carezza ai produttori di auto prospettando limiti assai più “light” sulle emissioni nocive, dall’altra cala il poderoso scappellotto profilando un innalzamento dei dazi sui veicoli non prodotti all’interno dei confini USA.
Emissioni nocive. L’11 maggio il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha incontrato i numeri uno delle più grandi case automobilistiche. Era presente anche il CEO di Fiat Chrysler Automobiles Sergio Marchionne. Tra i temi dell’incontro, l’estensione dei limiti delle emissioni nocive e, quindi, l’allentamento dei paletti piantati dal predecessore Barack Obama. Un “alleggerimento” sicuramente negativo per l’ambiente e per la nostra salute ma che sarebbe molto positivo per i produttori, perché risparmierebbe loro l’ansia di dover pianificare esosi investimenti in ricerca e sviluppo. Una svolta comunque non scontata, dato che alcuni Stati, come la California, stanno invece lottando contro le emissioni nocive di gas.
Dazi decuplicati. Come accennavamo, però, il presidente Trump ha anche rilanciato la proposta di un innalzamento dei dazi sulle auto non prodotte negli Stati Uniti: dal 2,5% attuale fino al 20% circa. Avete letto bene: quasi 10 volte tanto. Una proposta che si somma a tutte quelle già annunciate e che arriva proprio nel momento in cui gli USA stanno rinegoziando con il Canada e il Messico il North American Free Trade Agreement (NAFTA), l’accordo di libero scambio in vigore dal 1994 che prevedeva la progressiva eliminazione delle barriere tariffarie tra i tre Paesi aderenti.
Limiti più severi. Peraltro, sui veicoli importati sarebbero previsti standard sulle emissioni nocive più rigidi di quelli che invece verrebbero introdotti per le automobili prodotte negli States. L’obiettivo del presidente Trump è duplice: da una parte, favorire l’attività produttiva negli USA; dall’altra, colpire le case automobilistiche europee che, dal suo punto di vista, non producono abbastanza vetture negli Stati Uniti. Attualmente la situazione è la seguente: sulla base degli accordi siglati nel quadro della WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, le automobili importate negli USA sono sottoposte a dazi del 2,5%, che salgono al 25% per i camion. Balzelli che vengono meno qualora il Paese di provenienza abbia un accordo commerciale con gli States.
Effetti sul made in Italy. Al rilancio dell’ipotesi di dazi più sostanziosi sull’import di automobili ha replicato la Coldiretti, associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, che ha reagito con una nota carica di dubbi e preoccupazioni. “Gli autoveicoli, con 4,5 miliardi nel 2017, sono la prima voce dell’export made in Italy negli Stati Uniti, davanti all’agroalimentare, che supera di poco i 4 miliardi”, si legge. Il proposito di aumentare così vertiginosamente i dazi, sottolinea la Coldiretti, “alimenta l’incertezza sulle esportazioni made in Italy, che in USA hanno raggiunto nel 2017 il record storico di 40,5 miliardi grazie a un aumento del 9,8% rispetto all’anno precedente, proprio mentre sta per scadere la proroga di solo un mese dell’esenzione dai dazi sull’alluminio per l’Unione Europea”. La decisione farebbe immediatamente scattare le ritorsioni da parte dell’UE, che ha già varato una “lista nera” di prodotti statunitensi da colpire. Il risultato, conclude Coldiretti, “sarebbe l’estendersi della guerra commerciale a molti settori, con scenari inediti e preoccupanti, che rischia di determinare un pericoloso effetto-valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati”.
Così parlano gli esperti. E Marchionne, come ha reagito? Calma e gesso. D’altro canto, Fiat Chrysler Automobiles è presente negli Stati Uniti con impianti produttivi. Va però detto che il gruppo potrebbe subire il contraccolpo di un possibile calo delle vendite di Alfa Romeo e Maserati, che invece sono soggette a importazione. La novità sarebbe negativa anche per Ferrari, che non ha impianti produttivi negli USA e alla quale, proprio per questo, gli analisti consigliano di dotarsi di una struttura in loco. L’annuncio, comunque, non sembra avere avuto per ora grosse ripercussioni sui titoli in Borsa.
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